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La tunicella di Ruggero II e la tradizione artigianale storica tra Oriente e Occidente nel xii secolo.

Indice

Biografia di Ruggero II

      Ruggero II e le Crociate

      Ruggero e la sua famiglia e il ritratto di un Re

      La morte e l’eredità

Il costume normanno nell’Alto Medioevo dalle invasioni al XII secolo.

      Premessa

      I Normanni: dai mari del Nord alle corti europee negli usi e costumi

      L’abbigliamento aristocratico normanno maschile

La tunicella di Ruggero II

La riproduzione della tunicella

     Le fonti e il progetto

     La realizzazione della tunicella

     La tunicella indossata

Curiosità

Ringraziamenti

Fonti bibliografiche

      Libri

      Internet

      Manoscritti

      Reperti

 

Biografia di Ruggero II

Ruggero di Sicilia, meglio noto al grande pubblico semplicemente come Ruggero II fu conte di Sicilia dal 1105 e Re di Sicilia, Puglia e Calabria dal 1130 al 1154. Figlio di Ruggero I Altavilla [1] e di Adelasia del Vasto (o Adelaide) [2] nacque a Mileto (Calabria) nel 1095, lo stesso anno in cui Papa Urbano II proclamava la Prima Crociata. Mentre dei suoi avi, particolarmente del padre, si sa parecchio; di lui si sa molto meno, almeno per quanto riguarda la prima parte della sua vita. Quando Ruggero II nacque, suo padre era al terzo matrimonio e i due precedenti erano stati particolarmente prolifici e non era destinato, almeno all’inizio ad ereditare i feudi paterni come prevedeva la regola di primogenitura di trasmissione dei titoli e del potere.

 

Figura 1 – Discendenza di Tancredi d’Altavilla, padre di Roberto il Guiscardo e Ruggero I d’Altavilla, padre di Ruggero II. In questi alberi genealogici si può creare confusione tra i personaggi, dovuti alle numerose omonimie dei membri dei vari casati, lungo il corso di più generazioni poiché era uso chiamare i figli come i padri o come i propri antenati. Il Tancredi d’Altavilla capostipite del casato non è da confondere con gli altri suoi omonimi tra cui un figlio e un nipote. Immagine tratta da Ruggero II re di Sicilia, Calabria e Puglia: un normanno nel Mediterraneo di Pierre Aubè.



Figura 2 – Albero genealogico principale dei discendenti di Roberto il Guiscardo, figlio di Tancredi d’Altavilla. Immagine tratta da Ruggero II re di Sicilia, Calabria e Puglia: un normanno nel Mediterraneo di Pierre Aubè.
 
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Figura 3 – Albero genealogico intero dei discendenti di Ruggero I, nei suoi tre matrimoni. I numeri tra le parentesi quadre permettono di individuare il matrimonio tra Ruggero I e la sua terza moglie, sorella di suo genero Enrico del Vasto.


Figura 4 – Moneta del XII secolo, trifollaro di Calabria raffigurante Ruggero I


Dalla prima moglie, Giuditta d'Evreux, Ruggero I aveva avuto ben cinque figli di cui un solo maschio e le femmine furono tutte sistemate con matrimoni di alleanze con le famiglie Del Vasto (cui apparteneva anche la sua terza moglie) e Monte Sant'Angelo, Montescaglioso mentre una fu data in sposa a Raimondo IV di Tolosa [3]. Con questi matrimoni si creava una fitta rete di alleanze concentrate soprattutto nel sud Italia. L’unico figlio maschio di primo letto di Ruggero I, Giordano, destinato ad ereditare la Contea di Sicilia, morì nel settembre del 1092 con molto dolore del padre che in questo modo rimaneva senza erede che gli succedesse. In seconde nozze, Ruggero I aveva sposato una pressoché anonima Eremburga di Mortain [4], di origini inglesi che gli aveva dato ben nove figli, di cui due maschi e sette femmine [5], ma si conosce solo il nome di un figlio, che morì nel 1098, quando Ruggero II aveva appena tre anni. In terze nozze (le ultime) Ruggero I sposò la già citata Adelasia del Vasto, sorella del marito della prima figlia di primo letto di Ruggero, Flandina. Si chiudeva in questo modo anche un anello famigliare, piuttosto complicato dato che i figli di Ruggero avevano sposato donne della famiglia Del Vasto [6]. Quando giunse al terzo matrimonio Ruggero I era ormai vecchio per la sua epoca, cinquantaseienne sposò la giovanissima Adelaisa di appena tredici anni con una differenza d’età di ben quarantatré anni. Oggi definiremmo tale differenza scandalosa, ma a quei tempi non era il primo né sarebbe stato l’ultimo caso, specialmente in casi di matrimoni multipli nelle case nobiliari di maggior potere e dimensioni. Come i precedenti matrimoni anche questo non fu meno prolifico dei precedenti e la coppia ebbe quattro figli almeno, due maschi e due femmine. Il primogenito, Simone era stato designato a succedere a Ruggero e così fu per un brevissimo periodo: ereditò la contea a soli otto anni e morì appena quattro anni dopo, nel 1105 allorché unico erede rimase il futuro Ruggero II, destinato a diventare Re di Sicilia. Secondo le cronache di Alessandro di Telese [7], durante la sua infanzia Simone incorse in un curioso incidente con suo fratello Ruggero. Un episodio che alla luce dei successivi sviluppi storici appare quasi profetico:

 

Come tutti i bambini, [Simone e Ruggero] stavano facendo un gioco con le monete, il loro preferito, e finirono col venire alle mani. Durante la lotta, ciascuno supportato da un proprio gruppo di amici, il più giovane, Ruggero, risultò vincitore. Egli derise il fratello Simone dicendo: «Sarebbe decisamente meglio che toccasse a me l'onore di regnare trionfalmente dopo la morte di nostro padre, piuttosto che a te. In ogni caso, quando riuscirò a farlo ti nominerò vescovo o anche pontefice di Roma – il che sarà per te la migliore delle sistemazioni. »

 

L’aneddoto ha tutti i contorni di un evento scritto da un narratore onnisciente che scrive i fatti per un potente protettore, dopo averne avuta l’autorizzazione e aver raccolto le notizie in modo non del tutto imparziale, come accadeva a molti biografi dell’epoca.

Ruggero II si ritrovò così ad essere a soli dieci anni signore di molti territori, che governò sotto la reggenza materna fino a quando, maggiorenne, nel 1112 non prese il potere. Si dimostrò subito in grado di governare con autorità e saggezza, continuando la linea di espansionismo del padre.

Questo significa che molto probabilmente da tempo la sua famiglia puntava a creare una propria monarchia indipendente, anche se già come contea, la Sicilia insieme ad altri territori del Mezzogiorno era di fatto uno Stato Sovrano indipendente [8]. Tuttavia non era uno Stato facile da governare e tenere unito, specie perché i signori feudali successori a Roberto il Guiscardo si litigavano l’eredità rischiando di sgretolare di nuovo il Mezzogiorno, specialmente la Sicilia oggetto dell’interesse dei Musulmani scacciati durante la Conquista Normanna iniziata nel 1072 [9].

 

Figura 5 – Il Mediterraneo nel 980 d.C. (X sec.). La Sicilia è sotto il dominio musulmano dopo essere stata strappata ai Bizantini. Nel secolo successivo e nel XII la situazione cambiò drasticamente con la costituzione del Regno di Sicilia. Fonte immagine: Before the Normans: Southern Italy in the ninth and tenth centuries di Kreutz, Barbara M., pag. 16
 

  

Figura 6 – Il Mezzogiorno italiano nel 980 d.C. (X sec.), ad esclusione della Sicilia. Puglia e Calabria, parte della Basilicata erano territori Bizantini, mentre a nord rimaneva ampissimo il Ducato di Benevento costituito dai Longobardi nel VI secolo e che costituiva insieme al Ducato di Spoleto la Longobardia Minor. Con la conquista dell’Italia da parte di Carlo Magno e la sconfitta dei Longobardi, il Ducato fu annesso all’Impero e da allora tentò più volte la ribellione senza mai riuscirci. Con l’arrivo dei Normanni in Italia nel XI secolo, fu conquistata da Roberto il Guiscardo che ne dichiarò la sudditanza al Papato e questi gliene riconobbe il governo investendolo del titolo di Duca. Fonte immagine: Before the Normans: Southern Italy in the ninth and tenth centuries di Kreutz, Barbara M., pagg. 17-18


Figura 7 – La Conquista Normanna nelle sue diverse fasi di espansione durante l’XI secolo. Immagine tratta da Ruggero II re di Sicilia, Calabria e Puglia: un normanno nel Mediterraneo di Pierre Aubè.


Le diatribe intestine dovute alla spartizione dell’eredità, grazie alla mediazione di Callisto II [10] furono parzialmente risolte fino a quando morto Callisto II, divenne Papa Onorio II [11] che osteggiava l’unione tra i territori di Ruggero II e la Puglia. La situazione mutò nuovamente quando alla morte di Onorio, furono eletti due papi, appoggiati da due diverse fazioni: rispettivamente Innocenzo II [12] e Anacleto II [13] che mantenne il potere costringendo il rivale a fuggire in Francia.

L’appoggio degli Altavilla sotto Ruggero II alla Chiesa costò a quest’ultima il riconoscimento della monarchia e quindi l’incoronazione di Ruggero a Re di Sicilia. Si confermò in questo modo quella situazione stabilita ai tempi di Niccolò II, il Papa che aveva dato il via alla Lotta per le Investiture e che in cambio dell’appoggio alla Chiesa, contro l’Impero, aveva investito il Guiscardo, zio di Ruggero II, a duca di Puglia, Calabria e Sicilia.

 

Figura 8 – Innocenzo II in un mosaico della Chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma, ricostruita a metà del XII secolo proprio da Innocenzo II. Alla sua sinistra vi sono i Santi Laurenzio e Callisto.

 

Anacleto II, il 27 settembre 1130 una Bolla consegnata al duca di Puglia presso la città di Avellino fece Ruggero Re di Sicilia. L'incoronazione a Rex Siciliae, ducatus Apuliae et principatus Capuae avvenne a Palermo il 25 dicembre 1130. Se alla Chiesa l’appoggio normanno era costato il riconoscimento della monarchia degli Altavilla, a Ruggero II la corona costò i primi dieci anni di regno in una sanguinosa e lunga guerra, promossa e sostenuta da colui che era a tutti gli effetti il legittimo Papa: Innocenzo II. Poiché era stato un antipapa a incoronare Ruggero, non era questi legittimato a governare per il vero capo della Chiesa, tanto che con l’appoggio di Francia e Inghilterra e pure dell’Impero fu messa in piedi, pare da Bernardo di Chiaravalle, una coalizione contro il nuovo monarca. Le cose peggiorarono quando scoppiarono contemporaneamente le ribellioni dei nobili. Il potere e l’immenso regno che Ruggero II aveva creato in breve rischiavano di sgretolarsi definitivamente quando Lotario III iniziò la discesa al sud, che gli imperatori tedeschi non avevano mai veramente rinunciato a riprendersi. Lotario III era appoggiato da numerose città italiane tra cui Genova e Pisa e come se non bastasse dai Bizantini, ora governati da Giovanni II Comneno (figlio di Alessio) che temevano il potere crescente dei Normanni nel Mediterraneo. Tra i ribelli di Ruggero II vi era il cognato Rainulfo di Alife, che aveva sposato Matilde, sua sorella [14]. Nel febbraio 1137 Lotario fu raggiunto da Rainulfo e dai suoi alleati e a giugno assalì e prese Bari. Innocenzo II e Lotario concentrarono a maggio 1137 le proprie armate accanto al castello di Lagopesole e assediarono la città di Melfi, costrinsero Ruggero II alla fuga, quindi riuscirono a conquistare la sua ex capitale, Melfi, il 29 giugno. Il Pontefice tenne il Concilio di Melfi V nel castello del Vulture nell'anno 1137: la più probabile data va dal 29 giugno al 4 luglio. I Padri conciliari decisero la deposizione dell'antipapa Anacleto II. Il 4 luglio Innocenzo II, insieme all'Imperatore Lotario II, delegittimò Ruggero II, in favore di Rainulfo di Alife, fatto nuovo duca di Puglia. Ora che Lotario era finalmente tornato a mettere le mani sul sud, dopo una prima campagna più fallita che riuscita, sorsero incomprensioni e contrasti sul possesso del ducato delle Puglie, mentre anche nell'esercito serpeggiava il malcontento. Lotario a quel punto rinunciò e rientrò in Germania e questa fu la fortuna di Ruggero II che nel mentre aveva riacquistato le forze e pur essendo inviso a tutti sul piano politico, decise di passare all’azione, puntando non solo alla vittoria, ma alla riconferma della corona. Come prima cosa però doveva vendicare l’onta del cognato e così messosi in marcia saccheggiò Capua e costrinse Sergio VII ad accettarlo come Signore di Napoli. A Rignano Garganico Rainulfo di nuovo sconfisse il Re, ma nell'aprile del 1139 morì e Ruggero sottomise gli ultimi ribelli senza eccessive difficoltà sottomettendo sotto il suo potere tutto il Meridione. Rainulfo era così scampato alla personale vendetta di Ruggero non morendo per mano sua, ma probabilmente a causa di un’infezione di una ferita procuratasi in guerra che aveva fato infezione e forse anche alle scarsissime condizioni igieniche del tempo e alle rudimentali tecniche chirurgiche. La morte di Rainulfo non placò la sete di vendetta del cognato che giunto a Troia [15] per reimporre la sua autorità, Ruggero pretese la riesumazione del cadavere di Rainulfo e la sua degradazione. Secondo Falcone di Benevento, il re avrebbe intimato ai troiani:


Non entrerò in città finché resterà tra voi quel grandissimo traditore di Rainulfo!

[Falcione di Benevento, Chronicon Beneventanum, 1139]

 

Il corpo fu a quel punto esumato dalla sepoltura nella cattedrale di Troia, la lastra tombale infranta e la salma, ancora in putrefazione, trascinata dal cavallo di Ruggero per l'intera città. Dopodiché essa fu espulsa simbolicamente dalla città, venendo gettata al di là delle mura. Falcone, commentando la ferocia di Ruggero, poté dire: "per soddisfare la sua rabbia [Ruggero] fece contro un morto quello che non aveva potuto fare contro il vivo" [16]

 

Essendo morto il precedente anno (1138) Anacleto II, Ruggero ora doveva farsi riconoscere o quanto meno riconfermare Re dal papa Innocenzo II, ancora restio e che per giunta lo aveva scomunicato. Innocenzo, ancora forte delle sue alleanze tentò un secondo attacco a Ruggero II ma perse, cadendo invece in un’imboscata a Galluccio. A quel punto Innocenzo II si arrese [17] e fu costretto a riconoscere e riconfermare a Ruggero il titolo di Rex Siciliae ducatus Apuliae et principatus Capuae.

 

Figura 9 – Incoronazione di Ruggero II a Re di Sicilia. La figura di Cristo che incorona il Re serve per simboleggiare la benevolenza divina (ed è anche un richiamo al diritto divino dei Re) in merito alla fondazione del nuovo regno. Questa scena è rappresentata in un mosaico a fondo d’oro, nella Chiesa della Martorana, meglio nota anche come Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, a Palermo [18]. Come dimostrato da un diploma greco-arabo del 1143, da un'iscrizione greca all'esterno della facciata meridionale e dalla stessa raffigurazione musiva di dedicazione, la chiesa fu fondata nel 1143 per volere di Giorgio, grande ammiraglio siriaco di fede ortodossa al servizio del re normanno Ruggero II dal 1108 al 1151.


Ruggero II era così divenuto uno dei più potenti sovrani d'Europa. Nell'estate del 1140 ad Ariano Irpino promulgò le Assise di Ariano, il corpus giuridico che formava la nuova costituzione del Regno di Sicilia. A lui si deve anche l'istituzione del Catalogus baronum, l'elenco di tutti i feudatari del regno, stilato per stabilire un più attento controllo del territorio, dei rapporti vassallatici e quindi delle potenzialità del proprio esercito.

 

Figura 10 – Miniatura che rappresenta Ruggero II prima della sua ascesa al trono, in assetto da combattimento. Si noti il costume che consiste nella tunica a maniche lunghe, decorata sopra l’avambraccio con una striscia di tessuto di colore diverso e il mantello, portato alla maniera bizantina. Il costume normanno, come si vedrà, è frutto dell’eclettismo culturale che fa parte della popolazione Normanna sin dall’epoca delle invasioni. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196, quindi molto dopo la morte di Ruggero e infatti nel manoscritto in altre miniature è rappresentata anche la figlia Costanza da cui nascerà Federico II di Svevia. Fonte immagine: Wikipedia [19]

 

A Palermo Ruggero attrasse intorno a sé i migliori uomini di ogni etnia, come il famoso geografo arabo al-Idrisi (Idrīsī o Edrisi) [20], lo storico Nilus Doxopatrius, il poeta Abd ar-Rahman al-Itrabanishi che occupava anche posto di segretario e altri eruditi ancora. Il Re mantenne nel regno una completa tolleranza per tutte le fedi, razze e lingue. Egli fu servito da uomini di ogni nazionalità, come l'anglonormanno Thomas Brun nella Curia, il rinnegato musulmano Christodoulos nella flotta e il bizantino Giorgio di Antiochia [21], che nel 1132 fu fatto amiratus amiratorum.

 

Ruggero rese la Sicilia la potenza dominante del Mediterraneo. Grazie ad una potente flotta, costituita sotto diversi ammiragli, effettuò una serie di conquiste sulla costa africana (1135 - 1153), che andavano da Tripoli (Libia) a Capo Bon (Tunisia) e Bona (Algeria). Ruggero II creò in quei due decenni un "Regno normanno d'Africa" che divenne un "protettorato" siciliano, sostenuto in parte dalla residua piccola comunità cristiana nel nord Africa. Stando all’Enciclopedia Federiciana del 2005, i tentativi di Ruggero II di insediarsi in Africa, in primo luogo a Mahdia e poi a Tripoli, sfociarono nella creazione di un piccolo impero normanno lungo le coste dell'Ifriqiya, con la sola eccezione di Tunisi. Gli sceicchi locali si sottomisero all'autorità del re di Sicilia, che tentò di promuovere nella regione nuovi insediamenti cristiani allo scopo di proteggere la modesta popolazione cristiana già esistente [22]. I Normanni riuscirono a mantenere le conquiste africane di Ruggero II fino al 1160.

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Ruggero II e le Crociate

Ruggero II, ebbe inoltre modo, seppur nell’ultimo periodo della sua vita, di prendere parte attivamente alla Seconda Crociata (1147 - 48) che gli diede l'opportunità di riprendere i progetti di Roberto il Guiscardo sull'Impero Romano d'Oriente. Giorgio di Antiochia fu mandato a Corinto alla fine del 1147 e spedì all'interno un esercito che saccheggiò Tebe. Nel giugno 1149 l'ammiraglio apparve davanti a Costantinopoli e sfidò l'Imperatore bizantino, lanciando frecce incendiarie contro le finestre del palazzo. Tuttavia l'attacco all'Impero non ebbe risultati durevoli, ma Ruggero conservò l'isola di Corfù. Qui è bene aprire una parentesi sull’interesse di Ruggero II per il Medio Oriente. La fine della Prima Crociata aveva segnato non solo l’inizio di una nuova Era per il Mediterraneo e le rotte commerciali, che nonostante invasioni e pirateria araba, grazie all’azione cooperativa delle principali città portuali italiane e l’Impero Bizantino, non erano mai cessate; ma aveva anche segnato l’inizio di un nuovo regno, il Regno di Gerusalemme che durò circa un secolo. All'inizio del 1099, quando era ancora in corso la Prima Crociata, Goffredo era una figura secondaria nella crociata, con Baldovino, Boemondo di Taranto [23], Raimondo IV di Tolosa e Tancredi d'Altavilla [24] che determinavano il corso degli eventi. Goffredo fu il primo a presentarsi all'assedio di Nicea ma il suo solo risultato significativo in questa parte della crociata fu il soccorso prestato all'esercito di Boemondo durante la Battaglia di Dorileo allorché questi s'era dovuto arrendere ai turchi selgiuchidi di Qilij Arslan I [25]. L'esercito di Goffredo, in realtà, fu anch'esso costretto alla resa finché non giunse un altro gruppo di crociati agli ordini di Ademaro, vescovo di Le Puy che attaccò l'accampamento selgiuchide.

 

Nel 1099, dopo la conquista di Antiochia al termine di un lungo assedio, i Crociati si divisero su cosa avrebbero dovuto fare. Molti fanti volevano proseguire verso sud alla volta di Gerusalemme ma Raimondo, a quel tempo considerato il capo della Crociata, era esitante nel proseguire la marcia. Goffredo, che sembra fosse influenzato da motivi religiosi piuttosto che politici, convinse Raimondo a condurre l'esercito a Gerusalemme. Goffredo fu attivo nell'assedio della città e il 15 luglio fu tra i primi ad entrare coi suoi Lotaringi in città che vide un massacro generale di musulmani ed ebrei, secondo i canoni d'assedio vigenti all'epoca. I cronisti riportano alcune note sul suo carattere: coraggioso e valoroso, ma anche ripiegato su sé stesso, tormentato, talvolta indeciso, forse ammalato nel fisico. Questa sua debolezza fu forse ciò che convinse gli altri crociati ad affidargli la corona gerosolimitana, non subendo il veto di alcuna compagine (a differenza per esempio dell'energico Raimondo IV di Tolosa, osteggiato dai Normanni). Si cercava infatti un personaggio non di spicco, vista la rinuncia di Raimondo a brigare il titolo regio, e Goffredo sembrò il candidato ideale, tanto che quando venne incoronato, il 22 luglio, egli decise di prendere il titolo di "Advocatus" (cioè difensore, ossia protettore laico) del Santo Sepolcro. Questo attributo inoltre era tipico di chi reggeva beni ecclesiastici, per cui sottintendeva che la Terra santa appartenesse alla Santa Sede.

Goffredo rifiutò dunque di essere incoronato "re" nella città in cui il Cristo era morto, assumendo il meno tronfio titolo di Advocatus Sancti Sepulchri, "difensore del Santo Sepolcro". Per tale scopo, egli fondò l'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Nel corso del suo breve regno di appena un anno, Goffredo dovette difendere il nuovo Regno di Gerusalemme dai Fatimidi d'Egitto, che in agosto furono sconfitti nella Battaglia di Ascalona.

 

Nel 1100 Goffredo fu in grado d'imporre la sua autorità ad Acri, Arsuf, Giaffa e Caesarea. Nel frattempo il contrasto con Dagoberto continuava: Goffredo e Boemondo avrebbero preferito Arnolfo di Chocques come Patriarca ma Dagoberto voleva trasformare il Regno in una teocrazia, col Papa alla sua guida. Goffredo morì il 18 luglio senza aver conquistato l'Egitto e la questione di chi avrebbe dovuto governare su Gerusalemme rimase senza risposta. I sostenitori di una monarchia secolare chiamarono il fratello di Goffredo, Baldovino (diventato nel frattempo conte di Edessa), affinché assumesse la corona. Dagoberto – che era fuori Gerusalemme con Tancredi per assistere alla conquista di Acri e al massacro della sua popolazione di fede israelita – dovette piegarsi e con riluttanza incoronò Baldovino Re di Gerusalemme il 25 dicembre 1100. Baldovino che le fonti descrivono in modo decisamente diverso e per certi aspetti opposto nei modi e nella mentalità rispetto al fratello Goffredo [26], fin da giovane era stato destinato alla carriera ecclesiastica non essendo destinato ad ereditare, ma ben presto vi aveva rinunciato sposando in prime nozze una certa Godvera [27], che gli aveva dato dei figli e che insieme a questi lo aveva seguito in Crociata, trovandovi la morte [28]. Grazie ad una serie astutissima e anche subdola di mosse politiche e militari, Baldovino si era conquistato la stima e l’alleanza di Thoros di Edessa, governatore della città ed ex ufficiale bizantino (curopalate) e questi, ormai anziano lo aveva adottato assicurandolo come proprio erede e gli aveva dato in sposa la propria figlia, Arda in modo da garantire una successione [29]. Non si conoscono esattamente le dinamiche degli eventi successivi, ma pare che Baldovino amato e considerato eroe dalla popolazione cristiana armena rovesciò Thoros, di fede greco-ortodossa e questi venne assassinato, dopo di chè Baldovino impose la propria autorità e costituì un proprio feudo che è noto come Contea di Edessa. Il suo successo cominciò a far paura agli altri capi crociati, coi quali era già entrato in contrasto, in modo particolare Tancredi d’Altavilla [30]. Dopo la morte del fratello e la sua incoronazione Baldovino si ritrovò ad essere il più potente capo cristiano occidentale in Oriente ed essendo divenuto Re era pari a tutti gli altri sovrani, incluso l’Imperatore Bizantino. Come Re alla pari degli altri sovrani necessitava anche del riconoscimento da parte del Papa, e il colmo stava proprio nel fatto che era stata la Chiesa tra le prime a mettere gli occhi e ambire al potere sulla Terra Santa. Baldovino era stato scelto come Re per impedire appunto quel tipo di controllo e infatti nel 1101 entrò in contrasto col Papa in merito al Patriarca latino di Gerusalemme, Dagoberto da Pisa, che Baldovino non aveva mai riconosciuto e che aveva tentato di imporre la Chiesa come unico capo della Terra Santa [31]. Come Re di Gerusalemme fu il sovrano nominale della Contea di Tripoli, del Principato di Antiochia e della Contea di Edessa che aiutò nella difesa contro i musulmani di Siria, in special modo di Mawdud e di Aq Sunqur, atabeg di Mossul (arabo Mawsil). Nel 1103 pagò il riscatto per Boemondo di Antiochia che era stato catturato in battaglia dai turchi Danishmend. Baldovino preferiva Boemondo a Tancredi, che governava Antiochia in qualità di reggente e che era diventato principe di Galilea nei primi anni di regno di Baldovino. Nel 1108, non si conosce bene la ragione, Baldovino ripudiò la moglie armena accusandola di essere alleata ai Musulmani e la recluse in monastero, convolando cinque anni dopo a nozze, ormai anziano, con una non più giovane Adelaisa del Vasto, vedova di Ruggero I d’Altavilla e madre di Ruggero II.

 

Figura 11 – Baldovino di Gerusalemme e Arda di Edessa, figlia di Thoros. L’immagine è tratta dal manoscritto dedicato al Romanzo di Goffredo di Buglione, datato però non al XII ma al XIV secolo. L’immagine non è descritta anche se la scena in cui le monache accolgono Arda, suggerisce che si tratta proprio del momento in cui Baldovino ripudia la seconda moglie costringendola alla vita monastica, per sposare la vedova di Ruggero I. L’immagine è tratta dal Li rommans de Godefroy de Buillon et de Salehadin et de tous lez autres roys qui ont esté outre mer jusques a saint Loys qui darrenierement y fu, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 22495 [32], foglio 182

 

Entrambi gli sposi erano anziani per quell’epoca: Baldovino aveva cinquantacinque anni mentre Adelaisa ne aveva sedici in meno. Già con la Prima Crociata e la fondazione del Regno di Gerusalemme gli Altavilla si erano conquistati un posto d’onore in Oriente e Terra Santa, ma con quel matrimonio, Adelaisa nutriva grossi interessi, ma soprattutto grosse speranze sulla possibilità di Ruggero II di succedere al marito un domani, essendo che la coppia non aveva avuto figli. Mai furono tanto mal riposte quelle speranze, poiché il nuovo matrimonio correva il grave rischio di essere annullato, visto che Baldovino risultava ancora marito della moglie armena e perché il Re aveva già speso tutta la dote di Adelaide per pagare il soldo arretrato delle sue truppe e non aveva quindi grandi speranze di incamerare granché d'altro. A tutto ciò si aggiunga la noia della vita di corte per Adelaide, abituata ai fasti della corte normanna siciliana, per cui, approfittando di una grave malattia di Baldovino [33], il Legato Pontificio Arnolfo [34] strappò al Re il consenso per l'annullamento del matrimonio con Adelaide malgrado Baldovino non fosse favorevole a rinunciare alla preziosa alleanza con i Normanni di Sicilia. Lei ritornò nel 1117 in Sicilia dove pare che morì, anche per il dolore della separazione, nel 1118, lo stesso anno della morte di Baldovino [35] e del suo consigliere Arnolfo.

 

Figura 12 – Baldovino I di Gerusalemme e Adelaide del Vasto. La scena è per antonomasia attribuita al momento in cui Baldovino dietro consiglio del fedele Arnolfo ripudia anche Adelaide facendo annullare le nozze. La scena non può essere attribuita al loro incontro poiché la scena segue quella in cui il Re cadde malato ed è fedele alle cronache storiche. L’immagine è tratta dal Li rommans de Godefroy de Buillon et de Salehadin et de tous lez autres roys qui ont esté outre mer jusques a saint Loys qui darrenierement y fu, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 2249522495 [36], foglio 206

 

Baldovino di Le Bourg [37], cugino del Re, fu scelto come suo successore [38]. La presenza degli Altavilla in Terrasanta non cessò con la separazione di Baldovino I poiché molti esponenti della famiglia avevano preso il controllo ed erano stati investiti di ruoli di prestigio nelle diverse zone in Oriente, specie Antiochia ed Edessa e molti erano anche i legami col nuovo Re [39]. Ruggero II, non si sa come abbia preso la vicenda dell’eredità della corona gerosolimitana, probabilmente non bene, ma subito dopo la Prima Crociata, a distanza di pochi anni, ne fu proclamata una seconda alla quale il Re siciliano partecipò attivamente conquistando nuovi territori come descritto nella prima parte di questo paragrafo.

 

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Ruggero e la sua famiglia e il ritratto di un Re

Alla pari dei suoi antenati anche Ruggero II ebbe una vita privata piuttosto intensa, da adulto. In prime nozze sposò, nel 1118, anno della morte di sua madre, Elvira di Castiglia, Prima Regina di Sicilia [40], che gli diede ben sei figli di cui cinque maschi che portavano il nome degli antenati e una figlia che portava il nome di Adelaisa. Elvira morì l'8 febbraio 1135, e la sua morte fece cadere Ruggero in una profonda depressione che lo portò a recludersi per anni confermando che fu un matrimonio felice, allietato dalla nascita di diversi figli. Fu durante il primo matrimonio che avvenne la Prima Incoronazione di Ruggero II a Re di Sicilia e di sua moglie a Regina. Si deduce da ciò che tra i due sposi vi fossero amore ed affetto sinceri e profondi. Dopo ben quattordici anni di vedovanza (con la preoccupazione della successione dinastica dopo la morte in successione dei suoi primi tre figli maschi), nel 1149 si unì in matrimonio con Sibilla di Borgogna [41], che poteva essere quasi sua figlia, dalla quale ebbe due figli che morirono il primo dopo la nascita e il secondo durante il parto causando la morte della stessa Sibilla, di soli ventiquattro anni.

 

Figura 13 – Ruggero II e Sibilla di Borgogna. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196. Si noti il costume di Sibilla che rispecchia molto il modello altomedievale della tunica, lunga e dritta con maniche corte e strette e bordata sul collo e nella parte alta della manica da strisce, come nel costume della miniatura precedente in cui è rappresentato Ruggero II. Durante il XII secolo in Francia era in uso il bliaut, abito femminile dalle maniche molto ampie e aderente sulla parte alta del corpo, di cui si trovano anche molte testimonianze dell’arte. In Inghilterra entrò in uso questo tipo di abito femminile, ma continuò ad essere di moda anche la classica tunica di origine sassone e quindi germanica con i galloni quale decorazione. Fonte immagine: Wikipedia [42]


Ultracinquantenne nel 1151 si affrettò a sposare Beatrice di Rethel [43], anche lei giovanissima (vent’anni), dalla quale nacque postuma la sola Costanza (1154 - 1198) [44], imperatrice e regina di Sicilia, sposa di Enrico VI di Germania (1165-1197) e madre di Federico II di Svevia.

 

Figura 14 – Re Ruggero II con Beatrice di Rethel, sua terza e ultima moglie. L’immagine è tratta dal manoscritto Liber ad honorem August di Pietro da Eboli, del 1196. Fonte immagine: Wikipedia [45]

 

Del ritratto di Ruggero II non si hanno molte notizie, contrariamente al padre Ruggero I, del quale abbiamo invece una descrizione fisica anche piuttosto dettagliata, e non va dimenticato in questo caso che i personaggi non sempre erano descritti com’erano realmente dai loro estimatori che li vedevano a tutti i costi belli, potenti, ricchi e puri di cuore. fortunatamente la storia ci ha lasciato anche testimonianze obiettive che possiamo, grazie gli storici, reputare fedeli alla realtà. Ruggero I era descritto da Malaterra [46] come:


un giovane assai bello, di alta statura e di proporzioni eleganti, pronto di parola, saggio nel consiglio, lungimirante nel trattare gli affari. Conservò sempre il carattere amichevole e allegro. Era inoltre dotato di grande forza fisica e di gran coraggio nei combattimenti. E in virtù di questi pregi, si guadagnò in breve il favore di tutti

(Goffredo Malaterra)

 

Essendo di stirpe e origini normanne e quindi nordiche era normale che fosse anche di elevata statura, cosa insolita per quell’epoca ed essendo la statura un carattere ereditario, anche il figlio Ruggero II doveva essere parecchio alto e sano, robusto come suo padre. Altri dati sul suo aspetto come i capelli (che nell’estremo Nord tendono ad essere biondi) o il colore degli occhi (nell’estremo nord il colore scuro è meno diffuso rispetto all’azzurro) non sono disponibili, malgrado il ritratto della sua incoronazione nella Chiesa della Martorana suggerisca un aspetto molto più mediterraneo e straordinariamente simile al Cristo che lo incorona con capelli e barba lunghi e scuri, una rappresentazione simbolica che non è da considerarsi il ritratto dello storico Ruggero II.

 

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Figura 15 – Albero genealogico di Ruggero II d’Altavilla fino a Federico II di Svevia, del quale era nonno.

 

La morte e l’eredità

Ruggero II morì nel 1154 a 58 anni, a Palermo il 26 febbraio e suo successore fu il quarto dei suoi figli, Guglielmo detto Guglielmo I di Sicilia o Il Malo.

 

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Il costume normanno nell’Alto Medioevo dalle invasioni al XII secolo.

Premessa

Del costume altomedievale in genere non si hanno tantissime fonti, specialmente fino al XI secolo, dopo questo periodo si tendono ad avere molte più informazioni e di più generi che permettono di fare un quadro più definito della società e del costume medievale.

Basti pensare che sul solo concetto di Alto Medioevo vi sono opinioni contrastanti, seppure per convenzione si tenda a considerare il periodo delle Crociate e circa la fine del XII secolo come il momento di transizione che portò al Basso Medioevo, cioè gli ultimi secoli da cui si entrò nel Rinascimento [47]. Anche il costume, alla pari della società, subì una propria evoluzione tra XII e XIII secolo e questo momento è oggetto di molta attenzione da parte dei rievocatori e dei costumisti poiché è una sorta di linea di confine che divide due blocchi del millenario periodo storico noto come Medioevo [48]. Il XII secolo fu un periodo molto ricco anche per quanto riguarda il costume e rispetto alle epoche precedenti segnò un punto fermo nella storia della moda e del costume perché fino ad allora i modelli, sia maschili sia femminili, non avevano un taglio, ossia una forma costituita da diversi segmenti precisi che insieme formavano l’indumento completo come lo conosciamo oggi. La forma dell’abito (sia intimo sia quello più esteriore) era molto semplice e squadrata e quello che fondamentalmente faceva la differenza, eccetto per alcuni modelli che andarono di moda in alcune regioni in brevi periodi del XII secolo, erano i tessuti, i ricami applicati sugli abiti, gli ornamenti e l’insieme di accessori di vestiario nella nobiltà, grazie agli opifici [49] arabi concentrati nel Mediterraneo, ai commerci marittimi con l’Oriente e anche alla nascita di nuove tecniche di ricamo e al fiorire di nuove forme d’arte. Naturalmente i costumi del popolo, come si può facilmente immaginare, erano destinati purtroppo a non passare mai di moda nella loro povertà e semplicità estreme e infatti anche di fonti tessili dell’epoca sono sopravvissuti solo esemplari ecclesiastici o di alta nobiltà, per altro rimaneggiati nei secoli successivi e oggi esposti in musei diversi per tutta l’Europa. Diversamente si hanno soprattutto frammenti tessili di quel periodo e accessori di vestiario e non solo che, grazie al lavoro di ricerca e analisi di storici e studiosi, hanno permesso di capire com’era il costume medievale del XII secolo. Altre fonti che permettono di ricavare informazioni sul costume di quel periodo sono l’arte gotica e i manoscritti miniati provenienti dagli scriptoria più prestigiosi di quel periodo e commissionati dai personaggi più ricchi e di spicco delle corti europee. Il costume normanno è forse tra quelli maggiormente documentati dalle fonti straniere, francesi e anglosassoni soprattutto, perché è quello del quale si può meglio osservare la storia dalle invasioni sino al periodo in cui visse Ruggero II. In questo articolo si tratterà esclusivamente del costume maschile essendo per altro che sono quasi tutti maschili anche gli esemplari originali datati fino al XII secolo e giunti sino ad oggi, mentre sull’abbigliamento femminile si hanno soprattutto fonti artistiche e immagini in miniature di manoscritti. È curioso inoltre il fatto che, come si vedrà a seguito, delle vesti dell’Incoronazione di Ruggero II siano sopravvissuti solo i suoi indumenti e non quelli della moglie che fu incoronata insieme a lui a Regina di Sicilia. Le fonti artistiche (specialmente statue, mosaici e immagini manoscritte) mostrano invece anche esemplari di costume femminile.

 

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I Normanni: dai mari del Nord alle corti europee negli usi e costumi

Per capire meglio il costume normanno è bene fare una premessa che riguarda questa popolazione che fu protagonista di primo piano nell’Alto Medioevo e non solo in Europa, ma anche in Medio Oriente. Gli storici hanno definito i Normanni un popolo dall’eclettismo [50] culturale, ossia una mescolanza di stili molto diversi tra loro che nel loro insieme, opportunamente combinati e adattati alla propria cultura, permisero alla popolazione normanna di divenire esemplare rispetto alle altre presenti sui territori conquistati.

 

I Normanni il cui nome significa dalla forma latina, letteralmente «Uomini del Nord» non erano un unico popolo, ma è in realtà un attributo che indica in modo molto generico e anche confuso gli Svedesi, i Norvegesi e i Danesi, le tre popolazioni scandinave che, alquanto confuse, abitavano, nel più alto Medioevo, le regioni dell'Europa settentrionale, che tuttora portano il loro nome. Più comunemente, questo nome (nella forma latina: northmannus, normannus) stette poi a indicare i predoni, in gran parte norvegesi, che, scorrazzando dallo scorcio del sec. VIII per i mari del nord, si stabilirono in Francia, nell'attuale Normandia, donde, adottati lingua e costumi francesi, mossero nel sec. XI le schiere che conquistarono l'Inghilterra e l'Italia meridionale. In conseguenza, anche se il fondo psicologico più riposto di queste genti restò, dopo i contatti con altri popoli, sostanzialmente identico, una diversità, e non lieve, esiste fra di loro. Ma qui, seguendo l'uso invalso, si continuerà a denominarle indistintamente Normanni, aggiungendo che nelle fonti sogliono esser dette anche vikinghi, da wiking (forse "guerriero"), che precisamente è il nome che gli stessi Normanni dànno al capo d'una loro spedizione marittima.

 

Germani di stirpe [51], avevano l'anima germanica, specialmente nel fiero sentimento dell'indipendenza individuale. Di vivace intelligenza e di corpo robusto, erano armati d'un indomito coraggio e d'un rude spirito d'intraprendenza. Coraggio e forza erano per i Normanni gli unici mezzi per raggiungere tutte le vittorie. Astuzia, avidità di guadagni e di dominio, tendenza all'imitazione in ogni cosa, prodigalità e avarizia a un tempo: tale il carattere dei Normanni che si erano stanziati in Francia [52] e che ben si riconosce nelle figure descritte della famiglia Altavilla, nella biografia di Ruggero II. Non dissimile il carattere dei loro antenati; sol che la permanenza in Francia, a contatto d'una società più evoluta, li aveva resi abili nell'adulare, dediti allo studio dell'eloquenza, riluttanti a ogni autorità che non fosse quella della legge, severamente applicata da un energico capo. Famiglia e organizzazione statale rispecchiavano codesta fisionomia morale. In seno alla famiglia normanna l'autorità del padre era grandissima: se la donna offriva, secondo le saghe norvegesi, il suo cuore come premio della vittoria, in epoca più antica essa faceva parte del bottino di guerra [53]. La povertà delle sedi, l'eccesso della popolazione, i precarî proventi che ricavavano dalla pastorizia e dalla meschina agricoltura, non praticata dai capi, che ritenevano confacente alla loro nobiltà solo la carriera delle armi, portarono i Normanni sul mare e furono il primo popolo che, animato da un caratteristico spirito di avventura, si dà nel Medioevo alla navigazione a scopo di commercio (esportazione di cuoi, pellicce, pesci essiccati e altre merci prelevate in Lapponia) o, più frequentemente, di preda [54]. Fra i popoli germanici, nessuno più di loro presentò maggiore adattabilità alle forme d'una civiltà superiore; tanto vero ch'essi si confusero gradatamente, dovunque, col popolo che pure avevano soggiogato. Adattabilità, però, non tutta passiva, poiché, come già gli Arabi rispetto alla cultura bizantina che adattarono alle proprie tendenze e diffusero nei paesi che conquistarono, così i Normanni fecero, sì, loro gli usi e i costumi delle varie nazioni in mezzo a cui venivano, ma questi usi e costumi rafforzavano, spesso modificavano e, come tali, li introducevano nelle terre ulteriormente da loro occupate [55]. Da non dimenticare la francesizzazione di questa popolazione: i Normanni si fecero francesi nei pensieri, nel linguaggio, nei costumi, nei sistemi giuridico-sociali. Le istituzioni feudali, con cui vennero a reggersi, essi introdussero poi ovunque migrarono. Convertiti al cristianesimo, non solo fondarono grandi abbazie, che furono faro di cultura e di civilizzazione in Normandia, ma associarono all'innato spirito d'avventura un ardente sentimento religioso, che li fece paladini della fede nelle ulteriori imprese contro pagani e musulmani. Quest’ultimo aspetto lo si ritrova pienamente nel simbolismo del mantello regale dell’Incoronazione di Ruggero II in cui il leopardo (talvolta descritto anche come leone) abbatte e sottomette il cammello, a rappresentare la vittoria del Cristianesimo sull’Islam (specialmente durante le Crociate) e questo mantello fu realizzato da artigiani arabi della Sicilia, probabilmente nel 1133 o 1134, quindi per la seconda incoronazione di Ruggero II, poiché la prima era avvenuta nel 1130 con Anacleto II, antipapa. La stessa scritta sul manto di seta rossa e con preziosissimi ricami in oro e perle riporta una scritta in caratteri cufici con tanto di datazione in cui fu realizzato.

 

Figura 16 – Mantello dell’Incoronazione di Ruggero II d’Altavilla. Realizzato, come dice l’iscrizione in caratteri cufici, nell’Anno dell’Egira 528 (corrispondente al 1133-1134 anno dell’Era Cristiana). Il manto fu realizzato a Palermo da artigiani arabi e al centro è riportata una grande palma, che si ritrova anche nelle miniature presentate in precedenza, motivo ornamentale molto utilizzato nell’arte araba e in questo caso vuole simboleggiare anche l’Albero della Vita [56]. Il mantello fu probabilmente ereditato dal nipote di Ruggero II, Federico II e dal XIII secolo divenne il mantello dell’Incoronazione (almeno così dicono le fonti). Attualmente il mantello fa parte del Tesoro Imperiale ed è ospitato a Vienna al Museo di Storia Naturale. Fonte immagine: Wikipedia [57]

 

Il mantello così come anche la Tunicella Blu di cui si presenta a seguito una fedelissima riproduzione, realizzata artigianalmente, rispecchia pienamente l’eclettismo culturale di cui si parlava nella parte inziale di questo paragrafo. La tunicella o dalmatica riprenderebbe secondo gli esperti i motivi ornamentali del mantello e si suppone che faccia parte dell’intero vestiario realizzato per la seconda incoronazione di Ruggero II e come questo fa parte del Tesoro Imperiale custodito a Vienna.

 

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L’abbigliamento aristocratico normanno maschile

Il costume normanno riprese molti elementi, specie quello maschile, del costume francese altomedievale e molti aspetti, in alcuni esemplari raffigurati, degli stili sassone, arabo e bizantino. Il costume nobiliare in particolar modo era costituito da una camicia intima, in lino, lana o seta a seconda delle stagioni e delle occorrenze, ma anche dalle possibilità economiche: in genere solo i più ricchi potevano permettersi la seta, di color naturale, mentre nella maggior parte dei casi era bianca e in lino o lana. La tunica intima era dal taglio molto semplice, spesso in un unico pezzo tagliato da un unico drappo con lo scollo per far passare la testa, maniche lunghe più larghe ad altezza delle ascelle per rendere comodo il movimento e più strette verso i polsi, dove venivano chiuse con lacci. La tunica intima era spesso lunga fino al ginocchio ma era più corta rispetto a quella esterna di uso quotidiano. Alcuni esemplari di tuniche a volte presentano uno scollo molto largo con un cordone che ne regolava la larghezza grazie ad una coulisse, usata anche nel costume femminile. Similmente all’uso franco portavano le mutande e l’abbigliamento intimo era fatto in modo da consentire la massima comodità di movimento, anche perché molto spesso con questi indumenti intimi si andava anche in battaglia e quando si combatte l’agilità e libertà di movimento sono fondamentali.

 

Figura 17 – Tipi di camice in uso nel XII secolo. A sinistra il modello proposto dal Medieval Tailor’s assistant di Sarah Thursfield sulla base di fonti manoscritte, mentre a destra si trova il modello più in uso nel Nord Europa, proposto da Herbert Norris [58].


Figura 18 – Due modelli di tunica superiore della moda maschile normanna dalla Conquista del 1066 al 1154 (data della morte di Ruggero II). A destra vi è la Dalmatica e a sinistra una forma di cotta, chiamata anche semplicemente tunica. La Tunicella di Ruggero II incorpora questi due modelli e viene tradizionalmente chiamata “Dalmatica”. Il taglio includeva spesso una sorta di triangolo posizionato con la punta verso il cuore e la base verso l’esterno che aveva la funzione di allargare il giro manica per consentire un più comodo movimento. Esso poteva essere incluso nella sagoma o aggiunto appositamente in un secondo tempo. La realizzazione di esemplari con questo tipo di taglio ha consentito di verificarne la comodità nelle riproduzioni moderne per rievocazioni. Immagine tratta dal Medieval Costume and Fashion di Herbert Norris, pp. 20-22 [59]


Sopra alla tunica intima era portata la sopravveste d’uso quotidiano che nel primissimo periodo di regno di Guglielmo il Conquistatore era molto simile alla dalmatica, una sopravveste con maniche larghe, lunga fin sotto i ginocchi; usata in tutto il territorio dell’Impero romano dal II sec. d.C. [60]. La dalmatica, originaria dalla Dalmazia [61] aveva forma di tunica, lunga fin sotto i ginocchi, con maniche larghe: la presenza delle maniche era ciò che distingueva la dalmatica dal colobio [62], quantunque invero molte volte i testi sembrino far confusione fra le due vesti. Ambedue erano portate sopra la tunica vera e propria aderente al corpo; tuttavia ancora sopra di esse era talvolta gettato il mantello. La dalmatica era in generale bianca, ma ornata lungo gli orli da fasce (clavi) e da dischi (segmenta) riportati, in rosso e spesso anche ricamati. Fu dapprima considerata come veste di lusso; in seguito l'uso ne divenne più comune, ma rimase tuttavia un segno di distinzione, soprattutto di coloro che erano rivestiti di qualche ufficio, e con tale significato passò al Cristianesimo. Nell’Alto Medioevo era una tunica bianca, clavata, caratteristica per le ampie maniche; fra il secoli VII e il X ebbe clavi e balza nelle maniche e lungo il bordo inferiore, fu anche di colori diversi [63]. L’altro modello di sopravveste più in uso era quella che Norris chiama cotta [64], termine di origine germanica e che designa una sorta di tunica ampia, con maniche lunghe, usata nel Medioevo da uomini e donne e anch’essa fu utilizzata in ambito ecclesiastico ma non solo, rimase in uso anche nell’abbigliamento civile nobiliare e borghese. Norris sostiene che furono proprio i Normanni a fare la differenziazione dei nomi, in lingua francese, dei vari tipi di abito a seconda del modello e della lunghezza: quando era lunga la tunica superiore era chiamata robe, cote o cotte quando era corta (la forma più usata) e da qui sarebbe derivato il successivo termine surcote [65]. Il problema coi nomi tende spesso a creare confusione anche con la cronologia di ogni modello, ma testimoniato da fonti manoscritte, artistiche e tessili, il modello di Ruggero II corrisponde alla tunica in uso in Francia, Inghilterra e Mezzogiorno italiano nel XII secolo. Generalmente la tunica poteva essere ricavata, alla pari di quella usata quale indumento intimo, da un unico pezzo di tessuto cui venivano aggiunti il triangolo ad altezza ascellare per consentire il movimento agile e dei godet sulla parte inferiore per allargare la tunica, di ampiezza varia a seconda della funzione e della moda.

 

Questa tunica superiore o semplicemente tunica come viene spesso chiamata anche nel gergo comune, poteva essere anch’essa di tessuti diversi in funzione della stagione, del rango e dell’occasione. Solo i più ricchi e la nobiltà potevano permettersi tuniche di seta o lana fine, mentre normalmente era utilizzato il lino. Le tinte variavano a seconda della moda, delle leggi suntuarie che miravano a limitare il lusso e soprattutto al significato dei colori che con il nascere dell’araldica assunsero un’importanza sempre maggiore. La seta era ed è la fibra che meglio assorbe colore e lo mantiene e infatti la tunicella di Ruggero II è in sciamito di seta [66] e ancora oggi è ammirabile l’intensità del colore. Le tuniche erano poi decorate sull’orlo con un ampio gallone che viene anche chiamato a volte balza, dal fondo di colore anche diverso rispetto alla tunica e lo stesso valeva per i clavi sui polsi e sulla parte immediatamente sotto alla spalla, come mostrato nel disegno. I clavi e la balza erano generalmente ricamati nei ceti più ricchi, con motivi ornamentali che variavano a seconda della cultura: in Occidente erano generalmente motivi animali o vegetali, anche se nelle regioni come la Sicilia, interessata dalla cultura islamica, si tendevano ad utilizzare i motivi ornamentali arabi come nel caso della Tunicella di Ruggero II. In Inghilterra i clavi erano lasciati anche vuoti a volte, nel vestiario della piccola nobiltà, ma potevano anche essere realizzati con il telaio, in genere quello a tavolette, utilizzato anche per la realizzazione di lunghe bande che costituivano la passamaneria dell’epoca. Ancora una volta la Tunicella di Ruggero II presenta un esempio offerto dalla decorazione dello scollo, che è caratterizzato da una trama a motivi geometrici che si ripetono armoniosamente e che scendono, similmente alle tuniche bizantine, sul davanti dove la tunica aveva la chiusura. In ultimo sopra la tunica più esterna era indossato il mantello, di forma semicircolare solitamente era portato su una spalla con apertura laterale o in posizione classica, a seconda della moda. L’uso di portare il mantello con la chiusura su una spalla è attribuita alla moda bizantina che utilizzava l’himation, un drappo o mantello chiuso con una fibula e portato appunto sulla spalla. Sia l’Arazzo di Bayeux sia altre fonti quali miniature coeve dell’epoca e precedenti mostrano una tendenza maggiore a portare il mantello sulla spalla, fosse esso lungo o corto, probabilmente per una maggior agilità nel movimento. Il mantello era decorato con ricami o strisce ornamentali e fatto di tessuti preziosi solo nelle classi nobili.

 

Figura 19 – Due figure di nobili normanni, a sinistra con una dalmatica insolitamente molto lunga e a destra con la tunica corta, si noti anche la diversa posizione del mantello. Immagine tratta dal Medieval Costume and Fashion di Herbert Norris [67].


La tunica era chiusa da una cintura, più o meno preziosa a seconda del rango e quelle nobiliari erano anche in oro e magnificamente decorate. Non sopravvivono tantissimi esemplari di cinture ad uso quotidiano nobiliare dell’epoca. Normalmente erano in cuoio di spessore medio, molto lunghe in modo da effettuare sul davanti un nodo molto simile a quello delle cravatte. Oltre alle mutande, sotto la tunica intima i Normanni erano soliti indossare delle forme di pantaloni, noti anche come Chausses, dal francese normanno del XII secolo e potevano essere di diverso materiale, talvolta anche realizzate ai ferri e sostenute pare dalle prime forme di giarrettiera. Sebbene siamo abituati a immagine i nobili del Medioevo con gli stivali per andare a cavallo, nella quotidianità essi usavano normali scarpe, i più ricchi potevano permettersi anche scarpe foderate di pelliccia per l’inverno. Le scarpe potevano però essere anche in seta e magnificamente decorate, in genere chiuse e per forma ricordano le moderne scarpe Hürth o pantofole norvegesi, alte davanti e chiuse, piatte senza tacco con la cucitura centrale. Esistevano anche modelli aperti fino a metà della lunghezza del piede e tutti questi modelli erano leggermente appuntiti.

 

Figura 20 – Da sinistra scarpa ricamata, scarpa con lato aperto e scarpa nobiliare aperta frontalmente del periodo XI-XII secolo presso i Normanni di Francia e Inghilterra. Immagine tratta dal Medieval Costume and Fashion di Herbert Norris [68].


Figura 21 – Altri modelli di scarpe nobiliari e di figure di alto rango in uso nel XII secolo. Immagine tratta dal Medieval Costume and Fashion di Herbert Norris [69].


Quanto al resto, gli uomini al tempo di Ruggero II, specie nella moda normanna tendevano a portare i capelli corti alla fine del XI secolo e il viso pulito e sbarbato mentre successivamente venne di moda portarli più lunghi e lasciarsi crescere la barba. In testa erano soliti non portare nulla, specie nei Paesi Anglosassoni.

Tra la prima e la seconda metà del XII secolo, specie in Francia e Inghilterra entrò di moda, sempre grazie ai Normanni una variante di tunica che è ricordata per il suo nome più come elemento di vestiario femminile che non maschile: il bliaut, altro termine coniato proprio dai Normanni. Si trattava di una forma allungata della classica tunica a maniche lunghe, la quale però aveva l’orlo tagliato in modo che la parte davanti fosse più lunga che ai lati e ad altezza della vita era caratterizzato da un eccesso di tessuto, sostenuto elegantemente dalla cintura; inoltre le maniche erano più larghe e permettevano di intravedere la tunica intima a maniche strette che si trovava sotto. Questo modello molto particolare era rinomato alla corte di Stefano durante il periodo di anarchia in Inghilterra e non si trova più verso la fine della seconda metà del XII secolo. Essendo Ruggero II vissuto nella prima metà del XII secolo, è difficile pensare che avesse adottato anche quel tipo di costume francese e la tunicella oltre alla tunica alba di suo figlio Guglielmo sono una prova che alla corte siciliana la semplicità del taglio si sposava bene con la praticità e la comodità mentre il lusso era garantito dallo sfarzo dei tessuti di seta realizzati dagli opifici serici di matrice araba.

 

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La tunicella di Ruggero II

Figura 22 – La Tunicella di Ruggero II di Sicilia. L’esemplare fa parte dei Tesori imperiali ed è custodito presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. La tunicella è lunga anche se a primo occhio sembra corta e misura in altezza circa 141 cm, con un’ampiezza notevole della parte inferiore, tagliata in segmenti come mostra l’immagine seguente. Fonte immagine: web.
 

Figura 23 – Foto della Tunicella del secolo scorso, aperta. Si può meglio vedere l’esatto taglio della tunica. Fonte immagine: web.


La celebre tunicella di Ruggero II è talvolta chiamata anche Dalmatica che, come si è visto in questo caso incorpora due modelli di tunica superiore: con maniche larghe nella parte alta, in modo da consentire un movimento comodo mentre verso i polsi si stringeva e veniva chiusa e fermata con lacci, poi sostituiti nelle epoche successive dai primi bottoni. La tunica di Ruggero II è unica nel suo genere e fornisce una preziosissima testimonianza del costume altomedievale nobiliare, per la precisione, regale. Inoltre, è un esemplare che si è mantenuto anche in un buono stato di conservazione nel corso dei secoli e oggi è custodito nella Camera del Tesoro Imperiale a Vienna, presso il Kunsthistorisches Museum. Insieme alla tunica sono ospitati anche il mantello celebre dell’Incoronazione di Ruggero II, descritto in precedenza, la Corona Imperiale; la spada di Enrico IV e quella di Federico II; l’Alba di Guglielmo del quale esisterebbe anche una coppia di stivali in seta rossa ricamata in oro anch’essi custoditi nel museo viennese e il guanto con perle e la dalmatica attribuiti rispettivamente a Costanza di Sicilia e a Federico II. Della tunica non si hanno moltissime notizie, rispetto al mantello, ma essendo molto simile la lavorazione gli esperti hanno supposto che sia stata realizzata nello stesso periodo del mantello e ad essa abbinato. La particolarità di questo esemplare ne ha fatto un simbolo del costume medievale, è famosa in tutto il mondo e rappresenta un vero capolavoro artistico e artigianale del nostro Paese in epoca medievale. Non esistono simili esemplari datati a quell’epoca, è unico nel suo genere ed ancora oggetto di studio da parte degli esperti. La tunica è realizzata con due tessuti di sciamito di seta, di due colori diversi: azzurro e rosso. I colori impiegati per la sua tintura sono di origine vegetale, l’indaco (Indigofera tinctoria) per la tunica e la robbia (Rubia tinctorum) per la balza o gallone rosso ricamato in filo l’oro con una tecnica ad oggi ancora non del tutto nota, anche se molti sostengono che si tratti di punto gobelin o piccolo punto [70] [71].

 

La fascia rossa o balza è bordata da due file doppie di piccole perle, le stesse che in un’unica fila ornano i lati della chiusura dello scollo e i motivi ricamati in filo d’oro delle maniche, ai polsi, anch’essi realizzati in tessuto di seta rossa. Il motivo ricamato della balza in oro, richiama quelli in rosso sullo sfondo oro del mantello e anche nei polsini il disegno è simile ed è uno dei particolari che ha suggerito agli storici la contemporaneità con il mantello. Mentre il motivo della balza, in filo d’oro, è semplice, quella delle maniche è riccamente ornata lungo i contorni con piccole perle in un’unica fila che borda anche l’estremità superiore del polsino, piuttosto allungato mentre nella parte bassa, quasi a dividere lo spazio, vi è una doppia fila di perle. Inoltre, ad altezza del polso, sotto al doppio strato di perle, sono applicate delle piastrine a forma di violino in smalti Cloisonné.

 

Figura 24 – Dettagli del mantello dell’Incoronazione, si noti il motivo a palma, l’uso delle perle e lo stesso motivo della grande palma centrale, in rosso sul fondo di filo d’oro, che è quasi identico a quello della tunica. Fonte immagine: Wikipedia [72]


Figura 25 – Dettaglio del motivo in oro della tunica, con la doppia fila di perle ad ogni bordo della striscia. Si noti come il motivo richiami quello del mantello mostrato sopra. Fonte immagine: web


Figura 26 – Dettagli della Tunicella di Ruggero II, l’originale del museo storico con la ricchissima decorazione in perle che contornano il ricamo e sotto al doppio strato di perle le piastrine a forma di violino in smalto Cloisonné. Fonte immagine: web


Il cloisonné o altrimenti chiamato lustro di Bisanzio, è una tecnica di decorazione artistica a smalto, nella quale dei sottili fili (filigrane) o listelli o piccoli tramezzi metallici (di solito rame), alveoli, celle o (detti in francese cloisons) vengono saldati o incollati ad una lastra di supporto dell'opera da costruire; successivamente quindi, nelle zone rilevate dal metallo, viene colato dello smalto, ottenendo quindi una sorta di mosaico le cui tessere sono circoscritte esattamente dai listelli metallici. Questa tecnica è di tipo "additivo" di materia smalto su metallo, e non è quindi da confondere con la decorazione a smalto chiamata champlevé, che, come dice letteralmente lo stesso nome francese (campo levato) è invece sottrattiva; in quest'ultima tecnica infatti, il procedimento iniziale è simile, ma gli alveoli dove alloggia lo smalto non vengono aggiunti, bensì levigati a mano e quindi rifiniti [73]. Queste piastrine sono state fedelmente riprodotte con meticolosità e perizia anche nella riproduzione della tunicella, pubblicata qui di seguito.

 

Un altro dettaglio di questa tunica è rappresentata dallo scollo, bordato con una passamaneria realizzata con tessitura a tavolette, alta 3 cm e bordata con una fila di perle.

 

Originale tunicella - dettaglio scollo

Figura 27 – Dettaglio della chiusura del collo della tunicella di Ruggero II. Si noti il motivo geometrico complesso che si ripete nella trama. Fonte immagine: web

 

La tunicella, dopo Ruggero II, è probabile che sia passata attraverso le generazioni anche se non ne viene più documentato l’uso, ma pare che sia entrato in breve tempo tra i tesori di proprietà dell’Impero già dal XIII secolo come testimoniano due documenti: uno del 1246 ed uno del 1350.

 

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La riproduzione della tunicella

La riproduzione della Tunicella di Ruggero II rappresenta nel settore delle rievocazioni e dell’artigianato, specie nell’ambito del costume storico, una delle sfide più complesse e dei traguardi importanti che siano mai stati raggiunti, soprattutto per quanto riguarda il costume altomedievale [74]. Il complesso lavoro, durato diversi mesi e suddiviso in molte fasi, alcune delle quali delicatissime, è stato realizzato da Margherita Brossa, che ha acconsentito a pubblicare un articolo sul costume da lei realizzato nel blog dedicato ai costumi. Questo costume, fedelissimo nel taglio e nei dettagli all’originale, consente innanzitutto di riscoprire e conoscere da vicino la storia di uno dei personaggi storici del Medioevo italiano e della sua ascesa al trono; la storia del nostro Paese in un periodo delicato come il XII secolo. È inoltre una preziosa fonte per conoscere da vicino la storia del costume altomedievale, quello normanno in particolare, il suo valore. Non meno importante è la meticolosità e l’impegno avuti per la riproduzione fedele, filologica che nella rievocazione storica oggi ha un ruolo fondamentale e che veramente pochi oggi riescono a raggiungere.

 

Le fonti e il progetto

Margherita ci ha gentilmente fornito una ricca descrizione del suo lavoro e di come è nato il progetto: per la parte riguardante la ricerca storica e di fonti per la realizzazione del lavoro, si è cercato tra tutte le fonti fotografiche che è stato possibile trovare, sia sulla pagina del Kunsthistorisches Museum di Vienna che in diverse altre immagini trovate sul web. Esse mostrano le immagini della “tunicella” vista in diverse angolazioni e i particolari del fondo, delle maniche e dell’apertura collo. Non solo, sono state utilizzate anche altre fonti, per il taglio del modello, in particolare una pubblicazione dedicata: Karfunkel Gehnittmustersammlung 2 [75], utilizzata anche per quanto riguarda la doppiatura della tunica. Per il ricamo è invece consultato un testo apposito specifico: Il ricamo nella storia e nell’arte di Muller-Christensen Schuette.

 

La realizzazione della tunicella

Le fasi della realizzazione, come capita molto spesso in questo tipo di riproduzioni, non sono tutte in fila dal taglio al ricamo come può accade nell’industria, ma sono intervallate in base al risultato e al tipo di costume che si deve ricreare.

 

Per la realizzazione è stato scelto un tessuto con armatura tela di medio peso in cotone: per la tunicella in colore blu royal, per i bordi un colore rosso carminio, per il tessuto di doppiatura cotone con armatura tela di peso leggero colore blu royal.

 

Il modello della dalmatica è stato disegnato direttamente sul tessuto con il gessetto da sartoria, seguendo il modello, presente su una pubblicazione dedicata (Karfunkel Gehnittmustersammlung 2); stesso modus operandi è stato utilizzato per la doppiatura. Dopo il taglio e l’imbastitura, il tessuto è stato cucito a macchina e sempre a macchina è stata realizzata l’apertura del collo a profilo. Dal tessuto rosso è stata tagliata una striscia alta circa 20 cm e larga quanto il fondo della dalmatica; altre due pezze sono state tagliate seguendo le misure del polsino della manica. Prima di unire le parti rosse alla tunicella si è provveduto al ricamo. Utilizzando le immagini è stato sviluppato il disegno del ricamo che doveva mantenere le misure della striscia, nello stesso modo si è provveduto per il disegno del ricamo per i polsini.

 

I bordi rossi del fondo (3,60 metri circa) e delle maniche, sono stati ricamati a mano con filato in cotone per ricamo n. 8 (perlé) con un punto di copertura e l’inserimento di perle in madreperla, mentre la passamaneria dello scarto collo è stata realizzata con un filato in seta, è stato utilizzato anche del lamierino in ottone con laccature per impreziosire le maniche. Il punto di ricamo di copertura utilizzato è il Punto Gobelin Alternato esistente già nel XIII secolo (come descritto nel volume “Il ricamo nella storia e nell’arte”).

 

 

Figura 28 – Dettagli del ricamo dei polsini, eseguito interamente a mano con Punto Gobelin. Il disegno del ricamo eseguito sui ‘polsini’.


Figura 29 – Fotografia frontale del ricamo dei polsini. Il ricamo è stato realizzato come si è detto, prima del taglio del polsino. Questo tipo di metodo di lavoro, cioè il ricamo prima del taglio del pezzo, è molto spesso necessaria al fine di avere un buon risultato finale. Si noti, come si è detto anche nella parte che riguarda l’originale della Tunicella di Ruggero II, come questo motivo ricordi tantissimo quello in filo rosso del mantello e che gli esperti hanno considerato come una prova della contemporaneità del mantello e della tunica. Si tratta di un disegno e un ricamo molto complesso, poiché il motivo è realizzato come nelle trame, in modo che chiudendosi il polsino, le due metà agli estremi si “ricongiungono”. Si tratta di una delle operazioni più difficili nell’ambito del ricamo sul costume storico e nella sartoria in generale, quando si lavora con tessuti a trama.


Dettagli polsini

Figura 30 – Dettagli ingranditi del ricamo.


Figura 31 – Ricamo sulla striscia rossa del fondo della tunica. Si nota il particolare della delicata lavorazione dei punti.


Figura 32 – Altra fase del ricamo della striscia di fondo
 

Figura 33 – Dettagli del ricamo a mano.

 

Una volta ultimata la lunga operazione del ricamo, la striscia destinata per il fondo (gallone) e i polsini sono stati cuciti alla tunica interamente a mano, lasciando una piccola cucitura per l’orlo. A questo punto sono state cucite, una ad una, le perle in madreperla [76] a due file parallele in modo da delimitare il gallone in tutta la sua lunghezza alle due estremità come l’originale.

 

 Originale tunicella - dettaglio gallone di fondo

Figura 34 – Confronto tra l’esemplare riprodotto da Margherita Brossa (a sinistra) e l’originale nel museo (a destra). Preziosi dettagli e alta fedeltà. L’immagine dell’originale è tratta dal web.

 

Come per il gallone, anche i polsini sono stati decorati con le perle al fine di delimitare il ricamo ed è stato rispettato anche lo schema di ricamo dell’originale, usando le perle sia per contornare i motivi in oro, sia per le file che delimitano il tessuto rosso.

 

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Figura 35 – Il polsino finito dell’esemplare riprodotto da Margherita Brossa, con le file di perle a delimitare i bordi (a sinistra) e l’originale (a destra). L’immagine dell’originale è tratto dal testo: “Embroiderers” Kay Staniland, pag. 46. Si noti la perizia del dettaglio, rappresentato anche dalle piastrine, fedelmente riprodotte. Anche il Mantello dell’Incoronazione di Ruggero II e la tunica del figlio Guglielmo, riportano l’uso di perle a contornare i motivi dei ricami, altro elemento che ha portato gli esperti a supporre la contemporaneità con la tunica per quanto riguarda il primo e la manifattura della stessa bottega per quanto riguarda la seconda.

 

Per completare, sono state fatte tagliare a laser delle piastrine in ottone che poi sono state dipinte con colori appositi cercando di riprodurre i decori della Tunicella; in seguito sono state cucite tra le due doppie file di perle inferiori a mano. Dopo questa delicata fase sono stati realizzati gli orli, anch’essi a mano.

 

Realizzazione dei polsini (2)

Figura 36 – Anteprima delle piastrine prima della loro applicazione a mano. Il disegno delle piastrine riproduce fedelmente quello dell’originale.


 

Figura 37 – Applicazione delle piastrine e delle perle sul bordo dei polsini.

 

Per la passamaneria del collo si è optato per una tessitura a mano con filato in seta. Per questo motivo è stato ricostruito il disegno della tessitura ed è stata poi eseguita con la tecnica chiamata tecnica americana, ma che in realtà è la più antica tecnica di tessitura utilizzata dall’uomo.

 

È poi stata cucita la passamaneria al collo, rispettando la leggera arricciatura e infine è stato eseguito l’ultimo, parallelo, giro con perle. Sul lato del collo, dalla parte opposta all’asola (realizzata a mano), è stato cucito un cordoncino realizzato con filato in cotone per uncinetto in colore blu, ritorcendo più fili insieme.

 

Figura 38 – Ultime fasi del lavoro: l’applicazione della passamaneria al collo


Figura 39 – Il collo della tunica ultimato con chiusura e asola.

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La tunicella indossata


Tunicella indossata (2)

Figura 40 – La tunica finita indossata. Anche se su internet e dalle foto dell’originale sembri una tunica corta, in realtà è una tunica lunga che arriva quasi alle caviglie e vederla indossata consente di capire come fosse realmente e come venisse portata nell’epoca di Ruggero II d’Altavilla.


Tunicella indossata (3) Tunicella indossata (4)

Figura 41 – Dettagli dei polsini delle maniche con le piastrine e del gallone (o balza) del fondo della tunica con ricami e perle esattamente fedeli all’originale.


Tunicella indossata (1)

Figura 42 – Parte superiore della tunica indossa con dettagli dello scollo con la passamaneria riprodotta e del polsino con piastrine e ricami con perle.

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Curiosità

Questo abito è stato realizzato per cultura personale ed è esibito in alcune manifestazioni di rievocazioni storiche, all’interno di un accampamento del XIV secolo che a scopo didattico, mostra botteghe di miniatura, erboristeria, taverna e naturalmente la sartoria.

 

Una piccola curiosità su questo abito è la sua nascita, che da un lato spiega la motivazione sui tessuti scelti. “Quando acquistai il tessuto”, dice Margherita, “prevedevo di cucire una semplice dalmatica, e solo al momento di scegliere i ricami mi sono indirizzata verso un capo così importante, scelta diventata definitiva al pensiero di come un capo così bello sia stato tramandato e utilizzato per tante incoronazioni imperiali, di come sia stato visto e vissuto da parte di chi lo ha usato e da parte di chi lo abbia visto utilizzare”. Ha aggiunto Margherita: “Il pensiero che non tutti abbiano la fortuna di poter vedere l’originale mi ha spinta a cercare di essere il più accurata possibile, così che la cultura che ci ha preceduto possa essere alla portata di tutte le persone di qualsiasi età”.

 

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Ringraziamenti

Un sentitissimo ringraziamento è per Margherita Brossa, che mi ha permesso di scrivere un articolo sul suo costume e di condividere anche le fotografie del suo lunghissimo lavoro, frutto di passione e impegno che dovrebbero essere di esempio nel settore delle rievocazioni storiche e del costume.

Un ringraziamento va anche al modello che indossa la tunica, Daniele Cauda, facente parte dello stessa Associazione storica di Margherita: Carole di San Martino e che mi ha permesso di pubblicare le foto della riproduzione dell’esemplare della tunica, da lui indossata. Grazie di cuore.

 

Fonti bibliografiche

Libri

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Internet

 

Manoscritti

  • Histoire de la Terre d' Outremer, par Guillaume de Tyr – Primo esemplare, 1231. Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 24208 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9064018w?rk=42918;4)
  • Histoire de la Terre d' Outremer, par Guillaume de Tyr – Continuazione dell’esemplare del 1261. Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 24209 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b90639623?rk=21459;2)
  • Li rommans de Godefroy de Buillon et de Salehadin et de tous lez autres roys qui ont esté outre mer jusques a saint Loys qui darrenierement y fu - Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 22495 (Rif. http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9062228b)
  • Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (o Eboli) del 1196 - "Libro in Onore dell'Imperatore, ovvero sulle vicende di Sicilia": Codex 120 II della Burgerbibliothek di Berna), noto anche come Carmen de motibus Siculis ("Poema sulla rivolta siciliana") è un panegirico in latino, scritto a Palermo da Pietro da Eboli nel 1196, e dedicato a Enrico VI di Svevia. Le immagini usate in questo articolo sono tratte da Wikipedia, ma la loro coerenza è verificata poiché non è stato possibile trovare il codice digitalizzato.

 

Reperti

Il Tesoro Imperiale e i suoi elementi ospitati presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna sono consultabili anche online, ma nel rispetto dei diritti d’autore, presso il link del museo: http://www.kaiserliche-schatzkammer.at/en/visit/collections/secular-treasury/selected-masterpieces/. Fanno parte della collezione anche la Tunicella blu di Ruggero II, l’originale di cui in questo articolo si recensisce la fedele riproduzione e l’alba di Guglielmo, suo figlio, oltre agli altri esemplari del Tesoro Imperiale.

 

 

Note

[1] Conosciuto anche come il Gran Conte Ruggero o Jarl Rogeirr (Hauteville-la-Guichard, 1031 circa – Mileto, 22 giugno 1101), figlio di Tancredi d'Altavilla e fratello di Roberto il Guiscardo della dinastia degli Altavilla, conte di Calabria, fu il conquistatore e il primo Gran Conte di Sicilia (1062).

[2] Adelasia (Piemonte, 1074 – Patti, 16 aprile 1118), fu la terza moglie di Ruggero I di Sicilia e la madre di Ruggero II.

figlia dell'aleramico Manfredi (o Manfredo), fratello di Bonifacio del Vasto, marchese di Savona e della Liguria Occidentale. Nel 1087 Adelasia sposò a Mileto, in Calabria, il gran conte normanno Ruggero, suggellando così un'alleanza tra aleramici e normanni. Dopo la morte del marito, Adelasia divenne reggente del regno fino alla maggiore età del figlio (dal 1101 sino al 1112). Nel periodo di reggenza si circondò di consiglieri conterranei, tra cui il fratello Enrico del Vasto (che aveva sposato Flandina, figlia del marito), e di altra origine, fra cui soprattutto Cristobulo.

[3] Fu la sua seconda moglie.

[4] Era figlia del conte Guglielmo di Mortain e di Matilde di Montgommery. Venne data in sposa nel 1077 al conte Ruggero I di Sicilia, di quarantasei anni, divenendone la seconda moglie. Diede al marito due figli e sette figlie. Di lei non si conosce la data di nascita, morì nel 1087 e fu sepolta a Mileto. Suo nonno, Roberto di Mortain, era fratellastro di Guglielmo I d’Inghilterra e aveva nei confronti del di lui figlio, il futuro Enrico I, un’avversione dovuta alla successione sul trono inglese. Roberto I infatti fu tra i protagonisti delle vicende che portarono all’invasione normanna dell’Inghilterra e all’insediamento di Guglielmo, tanto è vero che fu rappresentato assieme a lui nell’arazzo di Bayeux, fatto realizzare per volere del fratello Oddone, Vescovo di Bayeux. Purtroppo, contrariamente a quanto accade per gli uomini, delle donne in epoca medievale, fatta eccezione per alcuni casi, si sa molto poco.

[5] Questo dato non è del tutto certo, perché si conosce solo il nome di cinque figli di cui si ricorda in modo particolare Costanza, moglie di Corrado di Germania, Re d’Italia, figlio di Enrico IV, Imperatore. Secondo il Bernoldi Chronicon, Corrado a Pisa sposò la figlia del conte di Sicilia, Ruggero I aggiungendo che era ancora molto giovane (adhuc admodum parvulam) ed aveva una cospicua dote (cum inaudita pecunia) Il nome della figlia di Ruggero non viene fatto ma la maggior parte degli storici ritiene che fosse Costanza di Sicilia (1082 - post 1135), figlia di Ruggero I e della sua seconda moglie, mentre altre fonti fanno confusione mettendo Costanza come figlia di terzo letto del padre. Anche sulla sorellastra Flundina le fonti fanno confusione. La sorella di Costanza, Felicia d'Altavilla (secondo alcuni Busilla) andò invece sposa a Colomanno Re d’Ungheria, altro protagonista della Prima Crociata (i suoi territori furono tra i più colpiti durante il passaggio della prima ondata, nota anche come Crociata dei Pezzenti). Felicia sposò Colomanno proprio lo stesso anno in cui i territori Ungheresi venivano percorsi dai pellegrini e dai primi Crociati ed era otto anni più giovane del marito.

[6] I Del Vasto sono una famiglia di discendenza aleramica di origini franche, che acquisì ampi territori nel Piemonte meridionale, fra Alessandria e Saluzzo, e nella Liguria occidentale. I loro domini comprendevano la marca di Savona e una parte delle Langhe e delle contee di Acqui e di Bredulo. Con il matrimonio di Adelasia con il normanno Ruggero d'Altavilla i del Vasto estesero i loro domini anche ad alcuni importanti feudi siciliani e, per una breve parentesi, al Regno di Gerusalemme.

[7] Alessandro successe all'abate Giovanni alla guida dell'Abbazia benedettina del Santissimo Salvatore a Telese, certamente prima del 1127. Si dimostrò uomo colto e astuto. Ad Alife conobbe Matilde di Altavilla, sorella di Ruggero II di Sicilia e moglie del conte Rainulfo III di Alife. Diventato amico della contessa, scrisse la sua opera più importante, la Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apulie, biografia accurata di re Ruggero II. È ricordato soprattutto come cronachista e storico.

[8] La Contea di Sicilia denominata anche Gran Contea, esistette dal 1071 (anno in cui Ruggero I di Sicilia divenne Gran conte) fino al 1130 (anno in cui Ruggero II di Sicilia unendo il Ducato di Puglia creò il Regno di Sicilia), fu uno Stato sovrano ed indipendente, fondato sotto investitura papale dal capostipite normanno che comprendeva la Sicilia e Malta. Era governata dal Gran Conte. Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e Calabria, aveva ricevuto il titolo di "dux Siciliae" nel 1059 da Papa Niccolò II come incoraggiamento per riconquistare l'isola togliendola ai musulmani. I normanni dalla Calabria sbarcarono nell'isola nel 1060. La Grancontea cominciò a formarsi durante la riconquista cristiana della Sicilia (1061 – 91) dagli Emirati Musulmani che erano stati istituiti nel 948 dopo la completa conquista dell'isola dai bizantini.

Dopo che i Musulmani sconfitti furono scacciati o incorporati nei ranghi militari normanni, ci fu un ulteriore periodo di transizione per la Contea ed i siciliani. La Contea di Sicilia fu creata formalmente da Roberto il Guiscardo nel 1071 per il suo fratello minore Ruggero, conte di Calabria, che investì del titolo di "Gran conte" e gli diede piena giurisdizione sull'isola, ad eccezione di Messina e il Val Demone, che Roberto tenne per se stesso.

[9] Dopo la bruciante sconfitta per mano normanna, i Musulmani che non furono scacciati furono integrati, pare, nei ranghi dell’esercito normanno per aumentarne probabilmente le forze e da qui ebbe inizio un periodo di transizione. La vicinanza di Musulmani e Cristiani, ma anche Bizantini poiché in primis fu Bisanzio a conquistare la Sicilia e poi ne perse gran parte con le invasioni arabe, contribuì enormemente alla fusione di diversi stili nell’arte che influenzarono anche il costume e la moda dell’Alto Medioevo insulare italiano.

[10] Guido dei Conti di Borgogna (…1124). Fu un ecclesiastico riformatore e aveva un forte punto di vista sulla lotta per le investiture, ma come Papa fu disposto a negoziare con l'imperatore Enrico V.

[11] Nato Lamberto Scannabecchi (…1130). Nacque nel podere Castagnola, nel territorio del castello di Fiagnano nel contado imolese. Callisto II lo nominò legato pontificio (si era nella fase più acuta del periodo detto «lotta per le investiture»). Ricoprendo questa carica Lamberto fu uno degli artefici del Concordato di Worms (1122). Dopo la firma del Concordato, fu Lamberto ad officiare la Messa solenne.

[12] Gregorio Papareschi (…1143). Apparteneva all'antica e nobile famiglia Papareschi dei Guidoni. Ebbe fin da fanciullo un'attenta educazione letteraria e religiosa. A lui erano legati i cardinali del partito ildebrandino che si ispirava alla riforma gregoriana.

[13] Nato Pietro Pierleoni (…1138), fu un benedettino italiano, che divenne cardinale nel 1106 e che fu eletto papa nel 1130, in contrapposizione a papa Innocenzo II, ed è considerato antipapa.

[14] Figlia anch’essa di Adelaide del Vasto

[15] Troia o Troja, è un comune italiano della provincia di Foggia in Puglia. È situata sulle pendici del Subappennino Dauno, a ridosso del Tavoliere delle Puglie. La cittadina ha antichissima fondazione. Secondo la leggenda, fu fondata nel XII-XI secolo a. C. al tempo dell'eroe greco Diomede che, insieme a Ulisse, conquistò la città di Troia dell'Asia Minore.

[16] Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum

[17] I rimanenti anni del pontificato di Innocenzo furono privi di risultati; egli aveva profuso le sue energie per annullare i comportamenti pericolosi conformatisi a Roma negli anni di Anacleto II. Ma l'insorgere di un contrasto con la città di Tivoli, nel quale fu coinvolto personalmente, vanificò quasi completamente i suoi sforzi. Si deteriorarono anche i rapporti con il re di Francia: a causa di un contrasto con Luigi VII di Francia, il suo regno venne posto sotto interdetto.

[18] La chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio nota come Martorana, è ubicata nel centro storico di Palermo. La chiesa appartiene all'eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa italo-albanese, e officia la liturgia per gli italo-albanesi residenti in città secondo il rito bizantino.Fra le più affascinanti chiese bizantine del Medioevo in Italia, è testimonianza della cultura religiosa e artistica orientale presente ancora oggi in Italia, ulteriormente apportata dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia sotto l'incalzare delle persecuzioni turche nei Balcani. Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità appartiene oggi alla Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che la accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.Dal 3 luglio 2015 fa parte del patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell'"Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale". Costruita da artisti orientali secondo il gusto bizantino, si trovava nei pressi del vicino monastero benedettino, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194, motivo per il quale diventò nota successivamente come "Santa Maria dell'Ammiraglio" o della "Martorana" (precedentemente Giorgio l'Antiocheno fece edificare anche il possente "Ponte Ammiraglio" sul fiume Oreto, noto anche per una battaglia dei garibaldini). All'edificio sacro, che nel corso dei secoli è stato più volte distrutto e restaurato, si accede dal campanile: una costruzione a pianta quadrata del XIII secolo, aperta in basso da arcate a colonne angolari e con tre ordini di grandi bifore.

[19] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Roger II Sicily.jpg

[20] Muhammad al-Idrisi, è stato un geografo e viaggiatore arabo. Fu invitato dal re Ruggero II di Sicilia a Palermo, dove realizzò una raccolta di carte geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero. Dopo aver viaggiato per tutti i paesi del mar Mediterraneo, si stabilì a Palermo presso la corte normanna di re Ruggero II, intorno al 1145.

[21] Giorgio d'Antiochia, fu fondamentale per la piena sottomissione della Puglia e della Calabria, entrambe tendenzialmente autonome rispetto al potere di Palermo negli anni che seguirono la successione colà di Ruggero. Nel 1129, Giorgio portò 60 navi per assediare Bari, ribelle sotto il principe Grimoaldo Alferanite. La resa fu imposta ma Ruggero perdonò il principe ribelle. Nel 1131 Ruggero pretese le chiavi della rocca di Amalfi per conseguire il pieno controllo delle difese della città e sottomettere gli abitanti: gli amalfitani rifiutarono e ancora una volta Giorgio bloccò la città e s'impadronì delle navi amalfitane inducendo così la città ad arrendersi. Nel 1132 fu concesso a Giorgio il titolo di amiratus amiratorum, che è stato talora interpretato come ammiraglio degli ammiragli ma che significa assai più probabilmente Emiro degli Emiri, ossia "Comandante dei Comandanti" (una sorta di Generalissimo): argomentazione suffragata dal fatto che in greco il titolo fu quello di "Arconte degli Arconti", che significa all'incirca la stessa cosa.

Nel 1135 la flotta siciliana, al comando di Giorgio d'Antiochia, conquistò l'importante isola di Jerba, di fronte alle coste tunisine. Nel 1143, Giorgio portò a termine a Palermo la chiesa greco-ortodossa di Santa Maria dell'Ammiraglio, conosciuta anche come Martorana. In questa chiesa vi è un mosaico dell'epoca che raffigura Giorgio, come pure il famoso mosaico che raffigura Ruggero II incoronato da Gesù Cristo. Nel 1148, Giorgio prese infine Mahdiyya. In precedenza il governatore musulmano di Gabès s'era ribellato al suo sovrano, al-Hasan, e promise di consegnare la città a Ruggero II se ne fosse stato da lui confermato nella carica di governatore. La guerra scoppiò inevitabilmente nell'estate del 1148. Giorgio guidò una flotta contro Mahdiyya. Il Sultano andò volontariamente in esilio, portando con sé un autentico piccolo tesoro, e Mahdiyya capitolò. Le città di Sfax e Susa si arresero poco dopo. L'Ifrīqiya (odierna Tunisia) fu incorporata nel Regno di Sicilia che così raggiunse il suo apogeo grazie alle conquiste di Giorgio, comprendendo non solo la Sicilia ma anche il Sud Italia, Corfù, Malta, alcuni altri territori greci e parte del Nordafrica. Morì poco dopo, nel 544 dell'Egira, secondo il cronista arabo Ibn al-Athīr, corrispondente al 1149 o al 1150[1]. Gli succedette nelle sue funzioni Filippo di Mahdia. Giorgio fu un poliglotta e un uomo di ampia cultura. Fondò la chiesa di San Michele a Mazara del Vallo.

[22] (Abulafia 1970)

[23] Boemondo I d'Antiochia, figlio di Roberto il Guiscardo. Boemondo sposò nel 1106 a Chartres Costanza figlia del re di Francia Filippo I, dalla quale ebbe un solo figlio, Boemondo II, che fu Principe di Taranto e d'Antiochia.

[24] Era il figlio di Emma d’Altavilla, figlia di primo letto di Ruggero I. È anche noto come Tancredi di Galilea.

[25] Fu sultano del Sultanato turco di Iconio (o di Rum) dal 1092 fino alla sua morte, nel 1107. Apparteneva alla dinastia selgiuchide.

[26] Mentre Goffredo viene descritto spesso come il “cavaliere perfetto” della cristianità, Baldovino è invece descritto come privo di scrupoli, ambizioso e lussurioso. Le sue gesta militari, descritte anche dalle fonti, sembrano confermare i primi due aspetti, mentre sul terzo le fonti sono piuttosto controverse e non mancò chi ipotizzò, giacché non risultano eredi noti, che fosse addirittura omosessuale, ma su questo aspetto non ci sono prove.

[27] Della prima moglie di Baldovino non si hanno molte notizie. Era una nobildonna normanna, figlia di un certo Raoul II de Tosny, figlio di Roger I de Tosny, figlio di Raoul I de Tosny, signore di Conches, attivo soprattutto in Normandia, Inghilterra e Galles. Raoul II è ricordato soprattutto per aver combattuto insieme a Guglielmo il Conquistatore nella battaglia di Hastings nel 1066.

[28] (Runciman 1966)

[29] Non è certo se l’adozione di Baldovino sia stato un gesto spontaneo di Thoros o se, come sospettano gli storici, il franco avesse indotto il suo ospite a quella mossa col ricatto morale, ossia la partenza per raggiungere gli altri Crociati, dai quali si era diviso per tentare conquiste proprie, incurante dei giuramenti fatti ad Alessio I di Bisanzio. (Runciman 1966)

[30] Vedere nota precedente su Tancredi di Galilea

[31] Non è chiaro in che veste Dagoberto si recò a est; molti storici ritengono che Urbano lo avesse nominato legato pontificio per la crociata quale successore di Ademaro di Le Puy, che era morto nell'agosto 1098. Tuttavia, in una lettera del settembre 1099 al nuovo papa Pasquale II, successore di Urbano che era morto il 29 luglio 1099, Dagoberto si firma semplicemente "arcivescovo di Pisa".Subito dopo Natale il Patriarca latino di Gerusalemme Arnolfo di Roeux fu deposto con la motivazione che la sua elezione era contraria al diritto canonico e con l'appoggio di Boemondo, Dagoberto fu eletto al suo posto il 26 o il 31 dicembre del 1099. L'opinione pubblica aveva sempre sostenuto che la Terra Santa doveva entrare nel patrimonio della chiesa, ma Arnolfo era stato troppo debole per affermare il suo primato. La posizione di Dagoberto era più forte, perché era (probabilmente) legato pontificio ed aveva il supporto della flotta pisana. Subito dopo essere stato eletto Advocatus Sancti Sepulchri (Difensore del Santo Sepolcro) Goffredo di Buglione si inginocchiò davanti a lui e fu investito del territorio di Gerusalemme, Boemondo fece lo stesso per Antiochia. Baldovino, il futuro re di Gerusalemme, che in quel periodo era Signore di Edessa, non rese omaggio a Daiberto e le loro relazioni non sembra siano state buone. Dagoberto era ansioso di affermare il potere del Patriarcato affinché il Regno di Gerusalemme fosse governato direttamente dalla chiesa con a capo il Papa rappresentato dal Patriarca e chiese che Goffredo gli consegnasse Gerusalemme. Goffredo cedette in parte e in una cerimonia il giorno di Pasqua de primo aprile 1100, annunciò che avrebbe mantenuto il possesso della città fino alla sua morte o fino a quando avesse conquistato altre due grandi città agli infedeli, ma lasciò in eredità Gerusalemme al Patriarca. Tuttavia Goffredo morì nel mese di luglio, mentre Dagoberto accompagnava una campagna contro Jaffa condotta dal nipote di Boemondo, Tancredi d'Altavilla. I nobili approfittarono della sua assenza per proclamare il fratello di Goffredo, Baldovino di Boulogne primo Re di Gerusalemme.

[32] Li rommans de Godefroy de Buillon et de Salehadin et de tous lez autres roys qui ont esté outre mer jusques a saint Loys qui darrenierement y fu, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 22495 - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9062228b/f182.item.r=Fran%C3%A7ais%2022495.zoom

[33] Pare secondo alcune fonti che Baldovino fosse ammalato, ma non si conosce la causa della malattia e all’epoca si ipotizzò ad un male “divino” dovuto alla sua bigamia con Adelaisa. In realtà sembra che fosse malato per i decorsi infausti di una ferita subita in battaglia e che non era mai guarita del tutto o al cattivo stile di vita del sovrano. Quel male comunque lo rese debole, pare, anche di mente e il legato pontificio nuovo ne approfittò per fargli rompere il matrimonio.

[34] Arnolfo di Roeux, ebbe un ruolo di guida durante la Prima crociata e fu nominato nel 1099 Patriarca Latino di Gerusalemme. Originario del villaggio di Chocques, nelle Fiandre, era figlio illegittimo di un sacerdote fiammingo. Era il Cappellano dell'esercito crociato normanno. Molto probabilmente fu nominato Legato Pontificio, sottoposto all'autorità del legato generale Ademaro di Monteil e, dopo la morte di quest'ultimo nel 1098 egli divise il controllo del clero con l'altro legato papale, Pietro di Narbona. Alcuni cavalieri non normanni negli altri eserciti crociati lo credevano corrotto e sembra circolassero canzoni volgari su di lui, ma la maggior parte dei Crociati lo rispettavano come un eloquente predicatore. Egli fu uno dei principali scettici circa la genuinità della scoperta della Lancia Sacra in Antiochia, da parte di Pietro Bartolomeo che, di fronte all'opposizione di Arnolfo, si sottopose volontariamente ad un'ordalia del fuoco. Dopo la conquista di Gerusalemme egli scoprì la Vera Croce nella Basilica del Santo Sepolcro. Questa scoperta non fu controversa come quella della Lancia, anche se non fu esente da sospetti. Forse Arnolfo tentò di porre rimedio ai problemi che aveva causato confutando l'autenticità della Lancia, e la Vera Croce divenne la più sacra reliquia del Regno di Gerusalemme. Nel 1112, alla morte di Gibelino di Arles, divenne ufficialmente Patriarca, sebbene molti nel clero diffidassero di lui e lo trovassero inutilmente severo. Egli divenne particolarmente impopolare tra gli ortodossi ed i cristiani siriaci quando proibì la celebrazione di messe non cattoliche nel Santo Sepolcro. Fu accusato di vari crimini: relazioni sessuali con una donna musulmana, simonia e soprattutto tollerare la bigamia di re Baldovino I, che aveva sposato Adelaide del Vasto mentre la sua prima moglie Arda d'Armenia era ancora viva. Egli fu deposto per breve tempo da un legato pontificio nel 1115, ma si appellò a Papa Pasquale II e fu restaurato nel 1116, a condizione che egli annullasse il matrimonio di Baldovino ed Adelaide. Alla morte di Baldovino I, Arnulfo fu uno dei principali artefici dell'ascesa al trono di Baldovino di Le Bourg, nel 1118. Rimase Patriarca fino alla sua morte nel 1118

[35] Baldovino morì dopo un breve periodo di ripresa, durante una spedizione in Egitto, nel corso della quale egli prese Farama. Secondo il suo cronista, Fulcherio di Chartres, Baldovino un giorno era insieme ai suoi amici e si stavano divertendo a infilzare i pesci lungo il Nilo per poi andare a mangiarli. Forse lo sforzo gli aveva riaperto vecchie ferite e forse fece anche indigestione e lungo la strada morì.

[36] Li rommans de Godefroy de Buillon et de Salehadin et de tous lez autres roys qui ont esté outre mer jusques a saint Loys qui darrenierement y fu, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Français 22495 - http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9062228b/f206.item.r=Fran%C3%A7ais%2022495.zoom

[37] Baldovino di Le Bourcq o Bourg, fu il secondo conte di Edessa dal 1100 al 1118, e il terzo re di Gerusalemme dal 1118 fino alla sua morte.

[38] Il regno fu offerto al fratello di Baldovino I, Eustachio, che però rifiutò.

[39] Baldovino di Le Bourg entrò al servizio di Boemondo di Taranto, principe di Antiochia, operando come ambasciatore fra Antiochia ed Edessa. Baldovino di Le Bourg divenne anche reggente del Principato quando Boemondo fu preso prigioniero dai Danishmendidi nel 1100. iutò anche a raccogliere il riscatto per Boemondo richiesto dai Danishmendidi, preferendo Boemondo a suo nipote Tancredi d'Altavilla che di Antiochia era intanto diventato reggente.

[40] Elvira di Castiglia (1100 circa – 8 febbraio 1135)

[41] Sibilla era figlia di Ugo II di Borgogna e di Matilda di Mayenne a sua volta figlia di Bosone I di Turenna, visconte di Turenna. Le spoglie mortali della regina Sibilla furono affidate dal re Ruggero II di Sicilia al benedettino Marino Abate della Badia di Cava. Sibilla fu seppellita dai frati benedettini presso la grotta di Sant’Alferio in una tomba ricoperta da mosaici. Purtroppo nel secolo XVIII i mosaici andarono in gran parte distrutti. Attualmente nell'abbazia di Cava, della tomba di Sibilla, sono ancora visibili alcuni frammenti musivi, il sarcofago romano riadoperato e la testa marmorea della regina. Il re Ruggiero II, per disobbligarsi, donò ai monaci dell'abbazia cavense il magnifico ambone musivo che, nonostante sia stato restaurato ed in parte rifatto, brilla ancora oggi nella basilica cavense della SS. Trinità.

[42] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Roger2 Sibyla.jpg

[43] Beatrice di Rethel (1131 circa – 30 marzo 1185) fu la terza moglie di Ruggero II di Sicilia e pertanto regina consorte di Sicilia, dal 1151 al 1154.Beatrice era figlia di Ithier, conte di Rethel, e di Beatrice di Namur. Suo padre, conte di Rethel dal 1158 al 1171, era figlio di Eudes di Vitry e di Matilda, ultima regnante della prima casa regnante di Rethel, entrambi coregnarono fino alla morte di Matilda avvenuta nel 1151, poi Eudes di Vitry regnò da solo fino alla sua morte avvenuta nel 1158. La discendenza maschile di Eudes e di Matilda diede origine alla seconda casa regnante di Rethel.

[44] Lei nacque poco dopo la morte del padre Ruggero II

[45] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Roger2 beatrixzRethelu.jpg

[46] È stato un monaco benedettino di origine normanna, autore del De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, una cronaca sull'origine dei normanni in Italia.

[47] Come si è detto molte volte, il Medioevo è in vero un periodo non fatto da segmenti netti, ma da fasi e la transizione da una all’altra non è mai, come per ogni epoca storica, netta, ma graduale perché non si spiega altrimenti il cambiamento, l’evoluzione. Seppure le convenzioni taglino, selezionino, cataloghino, la storia umana rimane una crisalide in continua evoluzione.

[48] Dopo questo periodo il costume cambiò in modo molto rapido e cominciò a differenziarsi in diverse varianti di uno stesso modello, con nomi diversi, in funzione delle regioni in cui il modello o la sua variante erano più diffusi. La vera e propria evoluzione al tipo di abito che conosciamo oggi avvenne nei secoli XIV e XV.

[49] Stabilimento industriale; fabbrica. [Dal lat. opificium, comp. di opus -ëris 'opera, lavoro' e -ficium '-ficio']. Particolarmente importanti erano i setifici arabi e bizantini sia in Italia sia nelle altre regioni del Mediterraneo.

[50] Nelle arti figurative, l’eclettismo è la tendenza a ispirarsi a fonti diverse accogliendo da ciascuna gli elementi ritenuti migliori. Il termine cominciò ad acquistare valore negativo in epoca romantica, essendo l’eclettismo. l’opposto di quella spontaneità che era considerata elemento fondamentale dell’arte.

[51] Non vanno assolutamente confusi con i Sassoni, gruppo non omogeneo di diversi popoli germanici residenti nel 3° sec. d.C. tra l’Elba, l’Ems e l’Eider. Nell’età delle invasioni barbariche non mutarono la loro sede, ma ne ampliarono i confini verso Ovest e verso il mare del Nord a contatto con i Frisoni: solo alcune tribù si spinsero stabilmente fino in Inghilterra. Estesisi fino sul Harz e sulla Saale, i re franchi li combatterono ripetutamente ma riuscirono a sottometterli e a convertirli al cristianesimo solo con Carlomagno, dopo 32 anni di guerra; lo stesso capo sassone Viduchindo nel 785 si fece cristiano. La loro sottomissione ebbe importanza decisiva sia per l’ulteriore evangelizzazione di là dell’Elba, sia per la formazione del regno germanico. Fra i S. si affermò la famiglia dei Liudolfingi, che ottennero il titolo ducale ed ebbero, con Enrico, l’elezione a re di Germania (919), giungendo poi con il figlio di questo, Ottone I, sul trono imperiale.

[52] (Treccani, Normanni - Enciclopedia Italiana (1934) s.d.)

[53] (Treccani, Normanni - Enciclopedia Italiana (1934) s.d.)

[54] (Treccani, Normanni - Enciclopedia Italiana (1934) s.d.)

[55] (Treccani, Normanni - Enciclopedia Italiana (1934) s.d.)

[56] Rappresenta simbolicamente, nella Cabala, le leggi dell'Universo lo avvicinano all'albero della vita menzionato dalla Genesi. L'albero della Vita era un albero che, secondo alcune tradizioni religiose, Dio pose nel Giardino dell'Eden, assieme all'albero della conoscenza del bene e del male.

[57] https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kroenungsmantel.JPG

[58] (Thursfield 2001, 68-70) e (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 17-72)

[59] (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 20-22)

[60] Rimase in uso nella liturgia latina per diaconi e vescovi, ma fu presto ‘copiata’ anche dalla nobiltà poiché, pur essendo indossata sopra un altro indumento, non impacciava i movimenti. (Treccani, Dalmatica - Enciclopedia Italiana 1931)

[61] Regione storico-geografica della costa orientale del mare Adriatico che si estende dalle isole Quarnerine a nord-ovest, sino al fiume Boiana, attuale confine tra Montenegro e Albania, a sud-est.

[62] Sorta di tunica senza maniche, o con maniche corte, usata dai primi monaci.

[63] Dopo il Trecento, dalmatica e tonacella tendono a prendere la stessa forma e dimensione, fino a esserne dubbia la distinzione che ora si conserva solo nei nomi. (Treccani, Dalmatica - Enciclopedia Italiana 1931)

[64] (Treccani, Cotta - Enciclopedia Italiana 1931)

[65] (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 21)

[66] Da non confondere con lo shantung il cui suono somiglia. è un tessuto medievale di particolare struttura e intreccio, contraddistinto da un aspetto compatto, satinato e brillante particolarmente adatto, per il carattere sostenuto, a fungere da supporto a sontuosi ricami. Prodotto originariamente nell'area geografica medio-orientale (Siria, Iran, Bisanzio) si è diffuso in seguito nelle zone mediterranee soggette all'Islam. Il termine sciamito deriva dal greco hexamitos (in latino examitum) ovvero tessuto dato da sei fili. Sotto il profilo della tecnica di tessitura lo sciamito è un tessuto senza rovescio, realizzato da due orditi, uno di fondo e uno di legatura che creano rispettivamente il disegno e l'ancoraggio delle trame d'opera. La superficie si presenta uniforme ed il disegno è ottenuto dalla contrapposizione dei colori di fondo da quelli dell'opera, ma esistono anche sciamiti monocromi: in essi la resa della decorazione è scarsa poiché non vi è adeguato contrasto con il fondo dello stesso colore.

[67] (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 21)

[68] (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 58)

[69] (Norris, Medieval Costume and Fashion 1998, 59-60)

[70] Si tratta di due varianti del mezzo punto, in funzione alla modalità con cui si esegue e nel corso dei secoli è stato impiegato anche nella tappezzeria, scomparendo pian piano dall’abbigliamento.

[71] (Distelberger 2009)

[72] Foto di Andreas Praefcke, 2009 - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kr%C3%B6nungsmantel_HRR_detail.jpg

[73] La tecnica artistica del cloisonné è antichissima, addirittura conosciuta nell'antico Egitto, dai Goti e dai Longobardi. Tuttavia, l'iconoclastia dell'VIII secolo fece perdere numerose opere. Successivamente, ne furono ritrovate a Cipro, quindi giunte in Europa dall'arte bizantina del X - XII secolo, soprattutto a causa dei saccheggi della Quarta Crociata del 1204, dove vennero altresì ereditate tecniche e materiali per realizzare la celebre Pala d'Oro della Basilica di San Marco di Venezia. Rapidamente, lo smalto cloisonné si diffuse quindi col nome di lustro di Bisanzio, soprattutto in Francia, poi Germania, ma anche Italia e Georgia. In Francia appunto, prese l'attuale nome di cloison, dal latino clausus, cioè chiuso, indicando la celletta o tramezzo degli alveoli di rapporto, sulla quale la tecnica artistica è basata.

[74] Sul costume altomedievale, come si è detto nel blog in diverse occasioni, non esistono tantissime fonti e bisogna metterne insieme di tipologie diverse per ottenere informazioni il più complete possibile o per lo meno, tra loro complementari. Molto spesso si vedono in alcune rievocazioni dall’epoca bizantina a quella matildica, degli esempi che nulla hanno a che vedere con quell’epoca, ma sono o di molto posteriori o molto fantasiose col rischio di perdere il valore storico e la funzione che il costume aveva. Lo studio dedicato al costume medievale e associato con il questionario proposto al pubblico “Rievocazioni e cortei storici. Qual è lo status quo?” di cui al link: https://armadiodelmedievalista.blogspot.it/2016/01/studio-sulla-rievocazione-storica-ed-il.html ha evidenziato che su un campione di 100 persone, sul territorio nazionale, solo il 3% realizza costumi filologici a livello personale e domestico, seguendo un metodo preciso e alcuni dei visitatori che hanno partecipato, hanno risposto anche alla seconda parte del questionario riservata proprio alla parte tecnica della lavorazione, fornendo una descrizione del loro metodo. Questo impegno, portato avanti dai privati che molto spesso lavorano dentro a compagnie e associazioni di rievocazione, rappresenta una costante importante, un punto fermo da cui si dovrebbe prendere esempio.

[75] Karfunkel Gehnittmustersammlung 2 di Elke Lewin-Deuer; Karfunkel ed., 2002. Si tratta di un testo di lingua tedesca in due volume che descrive i costume storici e propone gli schemi dei modelli per la loro riproduzione.

[76] La madreperla è un materiale di pregio, ricavato dallo strato interno della conchiglia di alcuni molluschi, specialmente delle ostriche, di colore iridescente bianco perlaceo, utilizzato per la sua durezza nella produzione di vari oggetti e per la decorazione ad intarsio di alcune superfici. La madreperla grazie alle sue elevate proprietà meccaniche, durezza e resistenza alla flessione viene prodotta artificialmente per impieghi industriali. In arte veniva e viene ancora usata per la realizzazione di disegni ad intarsio, nelle decorazioni di mobili, soprattutto in epoca rinascimentale, altri utilizzi sono per gioielleria e bigiotteria, posate, bottoni, mosaici, ventagli, binocoli, tasti per strumenti musicali.

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